sabato 31 luglio 2021

Ultimi mesi da Sindaco ad Aiello del Friuli.

Oggi un post personale. La storia viandante che è la Vita prepara una nuova svolta.

Il Messaggero Veneto pubblica una relativamente ampia intervista, nella quale spiego perché la mia esperienza di Sindaco si concluderà con le prossime elezioni amministrative, nel mese di ottobre.

Ad Aiello del Friuli ho trascorso dieci anni della mia vita, cinque come parroco, tra il 1990 e il 1995, cinque come sindaco, tra il 2016 e il 2021. Sono state due esperienze totalmente diverse, quasi opposte. Da giovane prete, tutto era incentrato sulla relazionalità e fondamentalmente sulla ricerca del consenso, lasciando in secondo ordine gli aspetti più organizzativi, peraltro gestiti in piena autonomia e in forma ben poco aperta al dialogo democratico. Da adulto amministratore, ho privilegiato lo studio e la conoscenza della struttura politica e tecnica del Comune, a scapito del tempo da dedicare alle relazioni immediate con le persone. A suo tempo ho approfittato della visione ancora un po' arcaica del sacerdozio, ricevendo molto rispetto - a volte forse un po' formale - insieme a un'immediata ventata di simpatia. Ora ho apprezzato la schiettezza ruvida e la naturale diffidenza che caratterizza i cittadini nel loro porsi in qualsiasi modo nei confronti dei vari livelli di rappresentanza. Se nella prima versione sono stato decisionista, potendo contare su numerosi collaboratori disponibili a realizzare le indicazioni ricevute dall'alto, nella seconda ho accolto l'indispensabile aiuto e sostegno degli ottimi tecnici comunali (tutte e tutti, nessuno escluso), mentre l'aspetto sicuramente più faticoso del cammino quinquennale è stato la ricerca di buone pratiche condivise, soprattutto con i componenti del gruppo che mi ha invitato, nell'inverno 2016, ad accettare di lasciare Gorizia per dedicarmi alla cura amministrativa dei paesi di Aiello del Friuli e Joannis. 

E' stata una bella esperienza, il livello dell'impegno del Sindaco - etimologicamente "colui che realizza la giustizia insieme" - è ancora quello della più immediata valenza della "Politica", intesa come arte di coordinare la polis. In sintesi, emergono i problemi (nel senso etimologico di "ciò che viene gettato innanzi") e si cerca di "venirne fuori insieme". A volte ci si riesce, a volte no, ma sempre si cerca di realizzare questo obiettivo partendo da una consapevolezza più alta, cioè dalla certezza che solo la Cultura deve essere il faro di orientamento e il fondamento di qualsiasi azione politica e sociale. La diversità, in ambito realmente democratico, dovrebbe proprio essere basata sulla differente visione culturale e non sulle semplici scelte quotidiane e indifferibili che tutti - di qualunque colore sia l'appartenenza politica - dovrebbero portare avanti con onestà e semplicità.

Avrei preferito essere sottoposto alla valutazione di questi ultimi anni di presenza ad Aiello, attraverso il voto espresso dalle cittadine e dai cittadini. Tuttavia l'esercizio del "potere" del Sindaco è giustamente limitato dai rappresentanti eletti e non eletti del Progetto a cui è stato legato, nel caso di Aiello la lista civica denominata appunto Progetto Comune. In ogni comunità ci si ritrova attorno a finalità e obiettivi precisi, ma portando in essa l'onore e l'onere dell'esperienza, della concezione della vita, del carattere, della sensibilità di ciascuno. A volte l'amalgama funziona e si ottengono percorsi politici entusiasmanti, in grado di valorizzare l'unità del gruppo e la specificità di ogni suo componente. A volte invece non funziona e le più affascinanti idealità vanno a scontrarsi con l'altrettanto avvincente mistero della natura umana, nella sua complessità e particolarità.

Non sono certo i miei espliciti orientamenti, decisamente a Sinistra, né alcune decisioni indissolubilmente legate alla responsabilità del "primo cittadino", il motivo della scelta di una parte di Progetto Comune di non propormi una ricandidatura che sarebbe stata naturale. E' invece il mistero della quotidianità delle relazioni tra le persone, là dove l'apparentemente marginale diventa determinante, mentre l'apparentemente fondamentale diventa elemento del tutto trascurabile.

E così mi preparo a voltare un'altra pagina della mia vita, molto contento di averla potuta scrivere, senza alcun rancore o recriminazione. Solo porto nel cuore la consapevolezza che nel cammino della vita non si cessa mai di imparare, che la regola fondamentale del viandante è l'adattabilità, la disponibilità alla permanenza come al cambiamento e che l'unica soluzione nei momenti di smarrimento del sentiero è quella di non fermarsi a piangere sul latte versato, ma continuare a marciare, in attesa del segnale successivo.

mercoledì 28 luglio 2021

Nova Gorica e Gorizia, in viaggio verso il 2025...

Una luce senza confini

Il "viaggio" verso Nova Gorica/Gorizia capitale europea della Cultura è iniziato. Le due parti si stanno riempiendo di manifesti colorati che presentano le opportunità e le risorse di un territorio straordinario.

Bene. Anzi, molto bene.

La strada è lunga e se il buongiorno si vede dal mattino, c'è da guardare avanti con qualche punta di ottimismo. Sia in ambito sloveno che italiano sembra siano state messe in campo molte potenzialità e la "macchina" sembra effettivamente essere partita.

Quali sono gli obiettivi da "centrare" in questo lungo periodo?

E' una domanda importante, al di là della ovvia realizzazione di molti piccoli e grandi progetti finalizzati alla crescita economica e alla promozione turistica.

Dalla risposta a questo interrogativo dovrebbe derivare la ricerca, per così dire, di "un'anima" o di "uno spirito".

In fondo, dalla disgregazione dell'Impero Austro-ungarico in poi, non è più esistito uno spirito "goriziano". Ci sono stati molti altri aggettivi, spesso enfatizzati in modo conflittuale e contrapposto. Ci sono stati molti tentativo di ricomposizione. Tuttavia non si può negare che il XX secolo e il primo ventennio del XXI siano stati caratterizzati da una serie ininterrotta di cambiamenti culturali e trasformazioni strutturali. Il percorso verso il 2025 potrebbe quindi costituire il primo momento di ripensamento intorno a una possibile ritrovata "unità nella diversità".

Potrebbe, appunto. In realtà ciò accadrà se si terrà presente soprattutto il coinvolgimento pieno e convinto di ogni cittadina e cittadino abitante non solo a Nova Gorica e a Gorizia, ma anche nelle valli dell'Isonzo/Soča e della Vipava/Vipacco, nonché nel territorio aquileiese, negli attuali limiti geografici dell'Arcidiocesi di Gorizia.   

Le persone che abitano nei due capoluoghi, oppure a Bovec o a Tolmin, ad Ajdovščina o a Vrtojba, a Villesse o a Cervignano, si "sentono" Goriziane? C'è un comune sentimento di appartenenza che unisce giovani e anziani? Ci sono esperienze di studio, di ricerca, di arte, di sport che abbiano come finalità anche la costruzione di un sentiero da percorrere insieme e la valorizzazione della specificità di ciascuno? La coscienza dell'unicità del "local" si può coniugare con quella della pluralità del "global"?

La risposta immediata, senza dubbio, è "Sì!" Per il momento ci sono molte realtà, forse, ma soltanto forse marginali, su diversi piani. In questi giorni ci sono stati i festival culturali e musicali di Cerkno (jazz), Grad Snežnik, Topolove. Presto ci sarà l'intelligente fine settimana di Če-povem (a Čepovan!) con artisti e conferenzieri di levatura internazionale, a fronte di relativamente esigue risorse finanziarie ed enorme volontà di condivisione e cooperazione. Sono piccole realtà, ancora limitate, ma dimostrano come, per ciò che concerne la costruzione dello spirito o dell'anima comuni, l'amicizia sincera sia un elemento imprescindibile, conditio sine qua non, fondamento di qualsiasi altro programma di attenzione alla cultura, all'ambiente, al lavoro, alla vita sociale.

E' solo l'inizio di una riflessione che continuerà. Per il momento questo post si conclude con due auspici.

Il primo è che si metta mano al più macroscopico degli ostacoli alla costruzione dello "spirito Goriziano". E' vero che la lingua non è tutto, tuttavia è un elemento molto ma molto importante. Se l'apprendimento della lingua dell'uno o dell'altro non è rilevato come urgenza assoluta, con l'insegnamento obbligatorio in tutte le scuole e l'avvio di corsi di formazione per gli adulti, la "capitale della Cultura" sarà solo uno spot pubblicitario. Per imparare la lingua dell'altro, almeno per poter comunicare ciascuno nella propria e comprendersi reciprocamente, occorre un'apertura di cuore e di mente possibili sono nell'ambito di una forte e autentica amicizia. La comunicazione senza amore è soltanto pubblicità.

Il secondo è che tra i tanti orizzonti turistici, no ci si dimentichi di quello "lento". L'attesa inaugurazione del ponte ciclabile di Solkan, il "successo" di cammini internazionali e locali, la straordinaria "ciclo-pedonale" dalla sorgente alla foce dell'Isonzo potrebbero essere occasioni eccezionali. Poche attività come il camminare o il pedalare possono consentire l'approfondimento di autentici ed efficaci rapporti di conoscenza e di affetto tra chi vive in un territorio e chi lo viene a conoscere da lontano. La piazza e la stazione della Transalpina, con il suo accogliente info point, potrebbero essere il punto di arrivo e di partenza, oltre che l'elemento simbolico più rilevante, di una vera Capitale europea della Cultura!     

venerdì 23 luglio 2021

Vaccini: Scienza o scienza?

Premessa per evitare equivoci: la prossima settimana riceverò la seconda dose di Astra Zenica.

Mi ha colpito ciò che ha detto Laura Boldrini, spiegando la ragione della scelta di vaccinarsi "perché ho fiducia nella Scienza". Nel contesto è proprio da scrivere così, con la S maiuscola.

Anch'io ho deciso di vaccinarmi, per motivi meno teorici tipo poter visitare le persone che mi sono care, girare per l'Europa o pranzare all'interno di un ristorante. Tutto sommato, anche per il motivo dichiarato dalla parlamentare del pd, perché "ho fiducia nella scienza".

Solo che nel contesto della mia scelta lo scrivo con la s minuscola.

Sì, perché il problema di fondo è epistemologico, ovvero che cosa si intenda con il termine "scienza". E' cioè essa la ricerca del "finis" (inteso come finalità, ma anche come conclusione, limite e confine), all'interno di un orizzonte predeterminato, come propone l'aristotelismo tomista? Oppure è la potenzialmente infinita conoscenza che deriva dalla sperimentazione e dalla continua verifica, come dai postulati derivati dalla visione galileiana?

Insomma, per dirla in termini ordinari, il dibattito attuale sui vaccini assomiglia molto a quello filosofico metafisico relativo all'esistenza di Dio. 

C'è chi ritiene la Scienza un Assoluto, dotato dei conseguenti trascendentali di Verità Bellezza e Bontà. E chi invece pensa che la scienza sia l'affermazione per eccellenza del relativo, non soltanto perché ogni "scienziato" ha una visione diversa dall'altro, ma anche perché non si riconosce in essa alcun criterio di definitività, incentrata come è sulla continua verificabilità e falsificabilità di ogni provvisoria ipotesi.

Si lasci perdere per ora la comunque importante influenza del sistema mediatico che è riuscita a trasformare la questione dei vaccini in un campo di battaglia tra tifoserie, pro-vax e anti-vax, con reciproche accuse di ignoranza e complottismo.

Ci si soffermi invece su un paio di dati di fatto.

Il primo riguarda la falsità dell'affermazione secondo la quale chi pone dei dubbi sull'utilizzo di vaccini necessariamente molto "giovani", sia inevitabilmente da confinare nella schiera dei ciarlatani o degli stregoni. Accanto a molti scienziati che con buone ragioni ne sostengono l'efficacia e la necessità, ce ne sono molti altri - altrettanto esperti e competenti - che mettono in guardia rispetto al loro uso. Quindi non esiste un'unica verità scientifica in questo campo. Quando ci sia appella alla Scienza a cosa ci si riferisce? A un'autorità suprema indiscussa, alla maggioranza della "comunità scientifica" (e cosa si intende con questo concetto?), alla propria "sensazione di verità"? Scelgo questi esempi, richiamando sullo sfondo le motivazioni metafisiche tomiste relative all'affermazione della fides, nel suo rapporto con la ratio: autorità suprema del Creatore, autorevolezza della comunità (Chiesa) che interpreta nel tempo la volontà suprema, il "sensus fidei fidelium", inteso come sensazione dell'intero popolo che viene riconosciuta come norma di verità da vagliare da parte del magistero.

Il secondo dato di fatto è che la maggior parte delle persone non hanno alcuno strumento per poter discernere, se non appunto fidarsi di ciò che si sente e crearsi una propria opinione. Ovvero si tratta proprio di un atto, più che di fiducia, di fede. Si tratta cioè di credere, non sulla base di una razionalità esercitata nel discernimento, bensì sulla base dell'accettazione di ciò che affermano i gruppi di scienziati che sostengono una tesi oppure di ciò che propongono gli assertori della tesi opposta. Le loro posizioni sono effettivamente scientifiche nel senso moderno del termine, ovvero basate sui criteri della sperimentabilità e della verificabilità. Le scelte conseguenti delle singole persone sono invece basate sull'accettazione dell'autorità degli uni o degli altri e sull'adesione al contenuto della loro proposta.

Ecco perché io ho accettato di vaccinarmi e perché ritengo ingiusta e inefficace la demonizzazione reciproca in atto tra i due schieramenti. Non accolgo Astra Zenica perché "ho fiducia nella Scienza", ma molto più umilmente perché analizzando le posizioni contrapposte, mi sembra leggermente più ragionevole dare credito a chi sostiene l'efficacia del vaccino piuttosto che a chi la mette in dubbio. E' perché sono influenzato dal massiccio spiegamento degli eserciti mediatici? O perché apartengo a un'area politica che in generale è più orientata al sì che al no o al dubbio? O è perché al fondo della mia coscienza qualcosa mi spinge verso una direzione piuttosto che l'altra?

In fondo, sono più o meno le stesse domande che mi pongo intorno al credere nel trascendente o meno. E ancora più in fondo, a chi chiede le ragioni della fede di un credente, la risposta più appropriata resta tutto sommato sempre un forse deludente ma - questo sì! - razionalissimo "non lo so!".

martedì 20 luglio 2021

20 luglio 2001/2021, in memoria di Carlo Giuliani

Il ricordo odierno è dedicato al giovane Carlo Giuliani, nel 20mo anniversario della morte, durante gli assalti della polizia, in Piazza Alimonda - per tanti oggi Piazza Giuliani - a Genova, in occasione del G8.
Era il primo anno del III millennio. Si erano da poco chiusi i festeggiamenti e i propositi dell'anno 2000. Erano stati fissati gli obiettivi del Millennio e sembrava realizzabile, entro il 2020, il sogno della riduzione sistematica della fame, dell'analfabetismo, della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. Si parlava, in termini molto concreti, di cancellazione del debito internazionale, di solidarietà e partenariato fra le Nazioni, addirittura di Stati Uniti del Mondo. La Chiesa cattolica aveva appena chiuso la porta santa del Giubileo della Redenzione, i movimenti contrari alla globalizzazione dei mercati sfilavano apparentemente vincenti sulle strade delle Capitali occidentali, personaggi straordinari come la Klein, il Galtung e tanti altri modellavano in forma sociologica e scientifica le fondamenta di "un altro mondo possibile", le guerre balcaniche erano un preoccupato ricordo e i rappresentanti delle religioni sembravano cercare più ciò che unisce rispetto a ciò che divide.
Ebbene, i due avvenimenti principali della terribile estate 2001 riportavano bruscamente gli abitanti del Pianeta a una realtà molto diversa dal sogno dell'"homo planetarius" vagheggiato negli anni '80 del XX secolo dal compianto profeta Ernesto Balducci.
La repressione cruenta della manifestazioni di protesta contro il G8 di Genova non fu un incidente di percorso, un episodio di sangue voluto da poliziotti troppo zelanti e sfuggito di mano alle autorità. Nella cabina di regia delle cosiddette "forze dell'ordine" era presente incredibilmente un ministro. Chiunque sia stato a Genova in quei giorni ha visto e può rendere testimonianza. Le distruzioni impressionanti, i cassonetti rovesciati e bruciati, le vetrine spaccate sono state opera di mai indentificati personaggi mascherati, gli stessi ai quali venivano consegnati i bastoni per agire dall'interno dei cortei e provocare la reazione dei robocop armati e in assetto di guerra. L'irruzione nella caserma Diaz è stato forse l'episodio più vergognoso della storia italiana degli ultimi 50 anni, con una vera e propria mattanza perpetuata nei confronti di giovani inermi, venuti da tutto il mondo per celebrare la propria voglia di cambiamento. Negli anni successivi, le sentenze dei tribunali, i libri e i film sull'argomento hanno portato alla luce la Verità su quei giorni. I responsabili della violenza se la sono cavata con poco, alcuni di loro sono stati perfino promossi ad altri importanti posti di responsabilità. Il risultato, da parte dei "potenti" del mondo, è stato raggiunto. Da quel momento il movimento per un altro mondo possibile, per un'alternativa al capitalismo iperliberista, è entrato in una crisi profonda che continua fino a oggi, venti anni dopo. 
L'altro evento planetario è stato l'attentato alle Torri Gemelle di New York, l'11 settembre. E' difficile non collegare la studiata repressione di Genova alla tragedia americana, soprattutto valutando le conseguenze dei due episodi, lontani ma anche molto vicini. I circa 3000 morti di quella strage, i cui contorni reali sono ancora avvolti nell'ombra del mistero, hanno innescato una serie ininterrotta di vere e proprie piccole ma sanguinose guerre mondiali. Centinaia di migliaia di persone, praticamente in tutti i continenti, la maggior parte di esse civili inermi, hanno pagato con la vita non tanto la volontà di "prendere Bin Laden" o paralizzare le centrali del terrorismo, quanto quella di rendere il Pianeta un luogo insicuro, a tutto vantaggio del controllo militare da parte dei "padroni del vapore". Il 15 febbraio 2003 hanno sfilato 15 milioni di persone, per dire il proprio convinto "no" alla guerra. Un paio di settimane dopo Bush junior scatenava la seconda guerra del Golfo, distruggendo qualsiasi possibilità di evoluzione pacifica delle relazioni internazionali. L'"imposizione della democrazia" ha significato la fine anche del movimento per la pace, ridotto di fatto a piccoli motivati gruppi, dalle varie ispirazioni, oggi più portati a una testimonianza marginale che a un reale e concreto sguardo nonviolento sul mondo.
Insomma, celebriamo la memoria di Carlo Giuliani e dei feriti di Genova con una sensazione di delusione, ma anche con la speranza che la loro sofferenza non sia stata inutile e che i semi di futuro seminati in quei giorni possano finalmente germogliare. C'è sempre un inverno di nascondimento e di gelo prima di una primavera rigogliosa. Sarà così? 

lunedì 19 luglio 2021

Clergy, un film che fa male, proprio per questo da vedere!

L'età (spirituale?) dell'oro per la Chiesa polacca è finita da parecchio tempo. L'onda lunga del pontificato di Papa Wojtyla sembra ormai essersi attenuata e con essa i film celebrativi di Andrzej Wajda o di Krsztof Zanussi. Sono tempi difficili e certamente realistici, in una Polonia iperconservatrice, ma anche vivaio di fermenti di protesta e innovazione.
In questo contesto, nel 2018, esce nelle sale cinematografiche Clergy, un film di Wojciech Smarzowsky. E' un atto di denuncia nei confronti della potente gerarchia ecclesiastica polacca. La storia, avvincente, è molto più credibile di quanto a prima vista si possa pensare. Salvati da un incendio, tre preti si incontrano per ricordare l'evento. Da questo inizio, dai tratti quasi comici, derivano le tre storie parallele.
Un parroco di campagna attraversa i sentieri dell'alcolismo e della lussuria. Ne esce con meno guai di tutti, quando la gravidanza della donna con la quale convive e un incidente che (a torto) ritiene di aver provocato, lo convincono a cambiare vita e inoltrarsi sulla via della convivenza e dell'abbandono dell'abito clericale.
Un monsignore in carriera, in procinto di partire per Roma e assumere incarichi importanti nel Vaticano polacchizzato a cavallo del Millennio, smascherato nelle azioni pedofile nei confronti dei seminaristi, ricorre ai trucchi più criminali per insabbiare le accuse ed evitare un processo e un fallimento esistenziale.
Un sacerdote catechista viene accusato di atti sessuali nei confronti di adolescenti e rischia il linciaggio. Internato in una specie di manicomio per preti, capisce che la sua ultima missione non può essere altro che quella di smascherare l'ipocrisia, accusando proprio l'importante monsignore che lo aveva rovinato appena uscito dall'infanzia.
Un simile collage non può che finire assai male, nel fango delle fondamenta della chiesa che dovrebbe essere costruita in onore dello squallido Vescovo e nelle fiamme - quasi invernali - che avvolgono il prete finalmente deciso a dire la verità, inascoltato e marginalizzato da una Chiesa che si può permettere di vilipendere in tutto la parola del Vangelo.
Tutto ciò scandalizza, offende, fa male al cuore. Il regista non fa sconti e dalla visione se ne esce con le ossa rotte e con una domanda decisiva. La questione della pedofilia dei preti, taciuta per decenni con conseguente persecuzione dei denuncianti, è davvero marginale? E' un problema che riguarda le "mele marce"? O la Chiesa ufficiale, quella di Francesco per intenderci, non dovrebbe forse domandarsi se le incredibili dimensioni del fenomeno non manifesterebbero piuttosto una grave crisi sistematica del sacerdozio cattolico celibatario. L'arrivismo, l'immoralità, il nascondimento delle debolezze, l'arroganza, sono molto più frequenti rispetto ad altri ambienti o almeno più sorprendenti. Il celibato non può essere certo considerata la causa diretta della pedofilia. Ma certamente una vita affettiva vissuta nell'anormalità, a causa di un'imposizione anacronistica, può creare un clima di disagio profondo che può anche portare a soddisfare la propria carenza d'affetto strumentalizzando in modo schifoso i più deboli. L'immaturità che impedisce di avere a che fare con i propri pari, porta facilmente a imporre le più inaudite violenze ai più piccoli.
Non sarebbe forse ora di lasciarsi provocare da film come Clergy, invece di nascondersi sempre dietro l'offuscamento dell'argomentazione tacciata di "esagerazione" e di indebita "generalizzazione"? 

domenica 18 luglio 2021

Sul coronavirus, il caos regna sovrano

La confusione regna sovrana. Mentre la variante Delta si moltiplica, portando a infauste previsioni per il resto dell'estate e soprattutto per il prossimo autunno, proporzionalmente si diffondono notizie totalmente contrastanti. La maggior parte dei contagiati aveva ricevuto almeno una dose di vaccino, non è vero quasi nessuno, le varianti crescono proprio come adeguamento del virus al vaccino, no è una sciocchezza, chi è colpito non sta particolarmente male e non è così contagioso, non è vero il fatto è che per il momento prende solo i giovani e così via.

Questa mancanza di chiarezza, alimentata anche dalle posizioni dei politici a caccia di voti, tende alla creazione di due "partiti", uno contro l'altro, come spesso accade nell'Italia bipolare o maggioritaria, che dir si voglia.

L'area dei "convinti" ritiene di essere l'unica depositaria della Scienza, relegando il ruolo di studiosi che esprimono perplessità nello spazio della magia e della stregoneria. Viceversa, coloro che hanno dei dubbi accusano i primi di essere schiavi di un complotto internazionale e quasi di provocare apposta malattia e morte.

Così la "guerra" si fa molto dura, alimentata, come in tutti i conflitti, dai media che sposano l'una e l'altra posizione sottolineando con forza i "casi singoli": qua il no-vax che muore di covid-19 non dopo aver espresso il proprio pentimento, là il vaccinato che muore arrabbiato contro chi gli ha di fatto imposto la soluzione per lui letale. Da una parte si auspica l'esclusione dai pubblici uffici di chi si rifiuta di sottoporsi alla puntura, dall'altra si grida alla fine della democrazia a causa del mancato rispetto del diritto individuale. In nome della sicurezza si costringono gli anziani nelle residenze assistite a un regime praticamente carcerario, contestato dai "libertari" che ritengono che molti anziani siano morti più di solitudine che di coronavirus.

Per i comuni mortali è praticamente impossibile discernere chi abbia ragione e chi abbia torto. E' senz'altro vero che il vaccino è un prodotto dell'intelligenza e della scienza umane, ma non è affatto vero che tutti quelli che lo contestano non siano valenti scienziati di lunga esperienza. E' vero che alcune posizioni contrarie al vaccino sono espresse con toni inaccettabili e a volte fantascientifici, non è vero che tutti coloro che pongono delle questioni problematiche siano dei ciarlatani. E' vero che ognuno può dire ciò che ritiene opportuno, come è vero che chi - anche con buone ragioni - esprime pareri diversi da quelli "ufficiali", viene letteralmente cancellato dai media. Non siamo forse a questo punto, ma certe censure sembrano proprio orientare all'impressione di prove di regime o di pensiero unico.

Come uscire da questa situazione, evitando possibilmente le strumentalizzazioni di una destra che attualmente sembra avere grande capacità di fiutare l'opinione delle masse? Forse sarebbe necessario almeno abbassare tutti i toni e riportare il dibattito nel suo alveo pacifico. A tutti interessa vincere la pandemia, ma occorre accettare che non ci siano soluzioni facili o precostituite. Occorre che gli scienziati dialoghino fra loro, senza demonizzare le loro diversità. Occorre che i politici riconoscano la centralità di una riflessione approfondita sul destino della sanità pubblica e sui disastri conseguenti a una troppo frequente valorizzazione di quella privata. Occorre che i cittadini si informino più che possono, ma senza cadere nella tentazione di trasformarsi in tifosi, di una parte o dell'altra, rispettandosi a vicenda, anche quando le diverse posizioni sembrano difficilmente conciliabili.

E' necessario vincere il coronavirus, senza per questo indebolire la Democrazia. Ci riusciremo? 


sabato 17 luglio 2021

Genova 2001: ricordi e considerazioni, venti anni dopo...

Sono passati 20 anni, ma la memoria di quei giorni di Genova è ben impressa nella mente e nel cuore.

Iniziando dalla fine, si può dire che la tragedia del 20 luglio, cioè tutto ciò che ha accompagnato la morte di Carlo Giuliani in piazza Alimonda, ha raggiunto l'obiettivo che i signori del G8 avevano desiderato. Una settimana di incontri ad altissimo livello tra esponenti dell'allora grande movimento no-global - migliaia  di scienziati, attivisti, simpatizzanti - aveva dimostrato "un altro mondo possibile", alternativo a quello voluto dai più potenti governanti della Terra, riuniti per incrementare le disragioni del Capitalismo liberista. La repressione violenta di quei giorni ha di fatto cancellato i laboratori, le idee, le prospettive, le proposte e da quel momento non è stato più possibile, almeno finora, recuperare la passione, l'entusiasmo e la forza di convinzione. Sì, esistono ancora gruppi e movimenti che da quell'esperienza traggono ispirazione per proporre una società antirazzista, nonviolenta, umana e accogliente. Ma sono minoritari, sia dal punto di vista politico che culturale, pur essendo stata riconosciuta da tutti i tribunali la ragione di coloro che protestavano e il torto dei vertici della polizia. Non sono mai state invece accertate le responsabilità dei capi politici del tempo, da Berlusconi a Fini - misteriosamente presente nella cabina di regia delle "forze dell'ordine" - e di Ruggiero, scomparso successivamente dalla scena politica. Due anni dopo, il 15 febbraio 2003, 15 milioni di sostenitori della pace erano scesi in piazza nelle capitali del nord del mondo, per contestare il governo USA in procinto di scatenare la seconda guerra del Golfo. Il tutto finì purtroppo con l'ennesima tempesta nel deserto e l'annientamento dell'Iraq. Ne conseguì un disincanto e una delusione i cui segnali sono ancora evidenti, anche qui con la sostanziale marginalizzazione del movimento per la pace.

E ora il mio ricordo personale, confermando quanto appena scritto. La mattanza genovese è stata voluta e pianificata, con lo scopo di azzittire la forza pacifica e intelligente del pianeta anticapitalista.

Il 19 luglio ero a Roma, con il prof. Alberto Gasparini, allora direttore dell'ISIG. Eravamo stati ricevuti da Giulio Andreotti, per organizzare un grande convegno a Gorizia sulle "città divise" (Gerusalemme, Nicosia, Mosca, Roma e Gorizia), chiedendo il suo aiuto per invitare esponenti qualificati di quei mondi, in ambito accademico, culturale e politico. Ricordo che sentendo ciò che stava accadendo a Genova, mi aveva sconsigliato di andarci la mattina dopo. La sua preoccupazione incrementò il desiderio di essere là, lasciando i "Palazzi" romani per immergermi nel "mio" mondo no-global.

Giunsi a Genova nella tarda mattinata del 20 luglio, lasciai l'auto poco prima dello stadio di Marassi e mi incamminai verso il centro. Lo scenario era quello di una guerra. Mentre davanti allo stadio si svolgevano scontri, lungo tutta la via bruciavano i cassonetti e non c'era neppure una vetrina intatta. Qualcuno timidamente faceva capolino, aprendo la porta di casa e sbirciando fuori. Ho chiesto a diversi abitanti della zona cosa fosse successo e tutti hanno offerto la stessa versione. Tutta la mattina la zona era stata presa d'assalto da gruppi di persone mascherate che avevano distrutto tutto ciò che capitava loro davanti. Erano i famosi black blok, famosi per il loro nome, ma assolutamente sconosciuti, senza volto e nome, al punto che la loro opera distruttiva, vera miccia che ha innalzato alle stelle la tensione provocando l'intervento delle schiere della polizia contro i manifestanti inermi, è tuttora avvolta nel mistero e non è mai diventata oggetto di inchiesta giudiziaria.

Con il cuore a pezzi, giunsi al tunnel della ferrovia, oltre il quale era previsto il passaggio della manifestazione principale, migliaia di donne, uomini, bambini all'inizio festosi e multicolori. Già nella galleria, si respirava cattiva aria. Con altri giornalisti si è passati oltre, nella via primcipale. Ci siamo diretti verso la testa del corteo, caratterizzata dalle tute bianche dei giovani attivisti. Alle nostre spalle cominciò l'attacco della polizia. Sirene a tutto volume, sinistro battere di manganelli sugli scudi di plexigass delle centinaia di robocop in assetto di guerra, sibilo di lacrimogeni e fumo ovunque. Il corteo inerme - nessuna benché minima presenza dei facinorosi che avevano messo a ferro e fuoco la città nelle ore precedenti - è costretto disordinatamente a retrocedere. Non riesco a raggiungere la piazza, ormai il caos regna sovrano e il frastuono degli elicotteri rende impossibile perfino il pensiero. Si sentono colpi, come di mortaretti, grida di persone terrorizzate e ferite. E' il momento culminante, lo sparo che uccide un giovane e con lui le speranze di decine di migliaia di convinti sostenitori dell'idea di un mondo migliore.

Quasi trascinato dalla folla in fuga, ritorno verso il tunnel, con un anziano giornalista incontrato sulla via. Ci insegue una piccola pattuglia, sparando lacrimogeni a tutto spiano. Il tunnel è ormai invaso da una nebbia pesante, si riesce a transitarlo trattenendo più possibile il respiro. Dall'altra parte sembra tornata la calma. Gli occhi lacrimano, non soltanto per i gas inoculati - per quello lacrimeranno al sole per alcuni anni successivamente - ma soprattutto per ciò che hanno visto, l'attacco sistematico, speriamo non definitivo, alla Democrazia.

Di tutto il resto, compresa l'incredibile mattanza della Caserma Diaz, una delle più grandi vergogne italiane dal dopoguerra, ho sentito la testimonianza di amici e compagni presenti, oltre che la documentazione offerta dai giornali e soprattutto dai verbali processuali che hanno condotto fino alla verità. I responsabili di quelle ingiustizie spaventose se la sono cavata con poco, alcuni addirittura sono stati promossi a nuove responsabilità, dopo aver truccato prove, armato i misteriosi devastatori mascherati, infierito su donne e bambini.

Ecco, questa è stata la "mia" breve e indimenticabile Genova 2001. Il senso di quelle giornate era chiarissimo a chiunque fosse stato presente. I tribunali hanno confermato autorevolmente, almeno in parte, eventi e responsabilità.  Le valutazioni, venti anni dopo, non sono altrettanto semplici. Il mondo è radicalmente cambiato e non certo in meglio. Gli obiettivi e le speranze del nuovo Millennio sono naufragate, travolti dal crollo delle Twin tower due mesi dopo e dalla conseguente sanguinosa guerra infinita. Recuperando l'entusiasmo soffocato in quei giorni, la questione non può essere soltanto un nostalgico e inquieto sguardo al passato, ma la domanda assillante e urgente su quale possa essere il futuro... o meglio, "i futuri" di ogni essere umano e dell'ambiente vitale che tutti ci accoglie.