martedì 16 dicembre 2025

Il Natale dei Santi Innocenti

C’era aria di festa a Betlemme. Tutti i caravanserragli erano occupati dalle famiglie che dalla Galilea erano scesi a Gerusalemme per registrarsi in occasione del censimento voluto da Quirinio. Gli albergatori si fregavano le mani dalla contentezza, osservando le carovane che giungevano nella Capitale, fuori dall’ordinaria stagione dei pellegrinaggi.

I pastori portavano i loro prodotti, vendendo ai passanti latte e gustosi formaggi. C’era una strana luce che creava un’atmosfera magica, al punto che nessuno si preoccupava del freddo pungente. Gli animali scorrazzavano liberamente per il villaggio, alla ricerca di mangiatoie dove ricavare qualche scampolo di fieno. A volte le trovavano occupate dai neonati, dolcemente collocati sulla paglia, ma non sembravano affatto disturbati, anzi, mangiucchiando un po’ di qua e un po’ di là, i buoi e gli asini affamati regalavano qualche alito di calore ai piccoli piangenti.

In una sgangherata casa, affacciata sulla piazza centrale, Rachele stava per partorire. Tutti si agitavano. Il marito, talmente vecchio da aver suscitato qualche pettegolezzo, appoggiato al suo bastone correva avanti e indietro non sapendo evidentemente cosa fare. Gli altri bambini avevano voglia di giocare e non capivano tutto quel trambusto. L’unica che sembrava tranquilla era la levatrice. Con gesti guidati dalla lunga esperienza, stava vicina alla donna, la incoraggiava e le raccontava storie mirabolanti. Tra l’altro, diceva che, nella vicina stalla, aveva aiutato una certa Miriam a partorire. Era arrivata con il marito da Nazareth, “anche lui di una certa età” – aveva rimarcato con un sorriso un po’ malizioso. C’erano un aspetto strano e un altro bello in quell’esperienza. Strana era l’estrema facilità del parto, anche l’integrità del corpo, qualcosa che lei, in tanti anni di esperienza, non aveva mai visto. Bella, ma in questo caso non eccezionale, era la serenità degli sposi, non possedevano praticamente nulla, ma si sentivano come dei principi. Avevano dato al bambino un nome importante, Joshua. Affascinata dalla comunicazione simpatica della levatrice, Rachele pensò con una certa invidia a quella Miriam e così, quasi senza accorgersene, diede alla luce il figlio e lo depose su una coperta piena bucherellata. Lo chiamò subito per nome: “Jacob, che tu sia benedetto da Adonaj!”

La levatrice, che si chiamava Salome, si affacciò all’uscio e subito una scena attrasse la su attenzione. Miriam aveva il bambino in braccio e Joseph – così si chiamava il compagno di strada – conduceva un asino carico di vivande, evidentemente procurate dai pastori. Avevano imboccato la strada del Sud, verso l’Egitto. “Che incoscienza, mettersi in viaggio in questo modo, con una creatura appena nata. Per di più senza aver fatto il proprio dovere con il censimento!” – disse, rivolta a Rachele alquanto incuriosita.

La spiegazione di quella repentina partenza non tardò ad arrivare. “I soldati, i soldati” – si sentiva urlare dappertutto – “cercano il re di Israele”. Non ci fu quasi il tempo di accorgersene o di chiedersi chi cavolo fosse questo re di Israele. A Salome, chissà perché, venne in mente il piccolo Joshua e cercò di reprimere un moto di rabbia. Centinaia di energumeni – elmo in testa, spade ultimo modello – entravano in tutte le case, puntando direttamente ai bambini, quelli nati negli ultimi tre nati. Li strappavano dalle braccia delle madri terrorizzate e, sghignazzando, fendevano l’aria con le lame affilate. Scorreva sangue dappertutto, le testoline rotolavano negli scarichi delle case, le braccia venivano scagliate fin sui tetti, le mamme che si ribellavano venivano trapassate senza pietà. Gli uomini venivano legati gli uni agli altri e gettati in un deposito di letame, poco fuori dalla porta del paese.

Rachele, sopravvissuta al massacro, guardava e piangeva. Piangeva i suoi figli e non voleva essere consolata.

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