Le tragedie nel Mediterraneo si susseguono con impressionante rapidità. La fine terribile delle vittime, il dolore dei feriti e dei sopravvissuti, lo strazio dei parenti e degli amici... Tutto ciò è diventata una normalità. Non fanno quasi più notizia 600 persone inghiottite dal mare, un centinaio di bambini, gruppi di uomini annegati, rinchiusi in una stiva senza alcuna possibilità di salvezza. C'è la sofferenza di papa Francesco, unica voce autorevole che si leva nella speranza di scongiurare simili catastrofi. Ci sono i movimenti che sostengono l'accoglienza, con sottoscrizioni e parole che invocano nuova urgenti politiche. C'è una società civile sempre più distratta e i media che, transitate le espressioni di rito, rinchiudono il dramma nella cassaforte impenetrabile della storia.
Ha ragione chi invoca un momento di lutto universale, affinché ci si possa fermare, ci si possa prendere una pausa nel vortiginoso scorrere dell'essere e del fare.
Perché le persone partono, affrontando il mare o le insidie dei Balcani? Perché il mondo in cui viviamo è sbagliato e fa sì che da una parte ci siano gli straricchi e dall'altra gli strapoveri. E si è tutti parte di un'unica, grande famiglia umana. Come non prendersi cura della propria sorella e del proprio fratello? Perché invece di incentrare tutti gli sforzi sul come impedire di arrivare nell'Eldorado dell'Unione europea a chi muore di fame o di guerra, non ci si chiede come sopperire al dolore di miliardi di esseri umani nel mondo?
Perché si ha paura di chi arriva da noi? Perché non si lavoro alacremente per produrre nuove politiche dell'accoglienza, del lavoro, della casa, dei ricongiungimenti familiari? Si sa che ci sono risorse per tutti, perché allora non investirle in una nuova concezione di un'Europa realmente accogliente e solidale? Perché invece dell'ovvio impegno a sopperire alle necessità non dei "profughi" o dei "richiedenti asilo", ma di sorelle e fratelli appartenenti alla stessa famiglia, diffusa in tutto il mondo? Perché invece di piangere ogni volta lacrime di coccodrillo in attesa che si spengano i riflettori mediatici, non ci si impegna a costruire canali di relazione tra Paesi più ricchi e Pesi più poveri, in modo da poter gestire con serenità i flussi migratori, togliendo così alle mafie internazionali una fonte immensa e desolante di arricchimento?
Perché? Perché? Perché? Che altro dire, nel senso di impotenza che ti prende dentro quando senti certe notizie? Che fare, oltre a firmare appelli di ogni tipo, scendere in piazza, partecipare a qualche convegno per iniziati? Come farsi ascoltare, far comprendere la ragionevolezza dell'accoglienza, a chi sembra così sordo a queste istanze?
Insomma, se qualcuno potesse rispondere a questi perché, forse cambierebbe questo mondo così ingiusto e squilibrato. Verrebbe messo in discussione il "sistema" che ha ridotto alla fame gran parte del Pianeta, soffocando nell'altra piccola parte perfino il desiderio di conoscere e di impegnarsi a cambiare direzione. Eppure i 600 morti davanti alle coste della Grecia, le centinaia di Cutro, le centinaia di Lampedusa... meriterebbero una risposta, per evitare che il loro sacrificio rimanga vano.
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