Il missile nordcoreano non ha svegliato solo milioni di giapponesi allertati dagli sms governativi, ma anche le coscienze sopite di un mondo occidentale ripiegato sempre più sulla difesa dei propri interessi.
La parola "guerra", da oltre settant'anni riferita a Paesi percepiti come "lontani" da un Nord ricco coinvolto al massimo in peraltro tremendi attentati terroristici, sembra affacciarsi come uno spettro, con il suo potenziale di morte e devastazione.
Ciò che spaventa ancor di più è la "normalità" della violenza, verbale e fisica. Scorrendo i commenti ai post sui vari social colpisce il linguaggio già tipico di ogni guerra: chiamata alle armi, disconoscimento dell'appartenenza al genere umano dell'altro, "neutralizzazione" (nemmeno più "uccisione") dell'avversario, diffidenza, insulti generalizzati, menzogna sistematica.
Anche per questo il missile che sorvola la terra giapponese fa paura, perché sotto la sua traiettoria non esistono più movimenti in marcia per la pace, le bandiere arcobaleno sono ormai consunte in qualche angolo delle cantine, il costituzionale "ripudio" della guerra come strumento di risoluzione delle controversie sembra essere per lo più dimenticato.
Il nemico di turno è l'inquietante dittatore Kim Jong Un, ma nella sua figura si incarna la minaccia che sembra incombere in ogni angolo del Pianeta. E la goccia che fa traboccare il vaso sembra essere penzolante dal rubinetto della Storia.
E' possibile evitare lo scontro atomico? E' possibile alleviare le sofferenze di popoli e nazioni che in questi settant'anni la guerra l'hanno vissuta - eccome! - a guisa di parafulmini del disagio generale?
E' possibile senz'altro, ma solo se la rotta viene invertita prima che la nave si infranga contro l'iceberg. E' indispensabile una nuova stagione nella quale l'autentica Politica ritrovi la sua radice intrinsecamente culturale. Forse occorre tornare a un recente evento, forse un po' sottovalutato per ciò che concerne la sua portata storica.
Si tratta del G8 di Genova, nel luglio 2001. Nei giorni precedenti il terribile week end che ha portato tanta vergogna all'Italia sulla ribalta mondiale, il centro di Genova è stato teatro dell'ultimo grande convegno generale intorno a un modello di coesistenza alternativo al liberismo senza freni. Il soffocamento nel sangue di quelle giornate di enorme speranza, insieme al quasi contemporaneo attentato alle Twin Towers e alla guerra infinita scatenata poco dopo da Bush, hanno cancellato il sogno di "un altro mondo possibile". Da quei giorni si è avviata una deriva nella quale è diventato possibile augurare la morte a chiunque la pensi diversamente, invocare catastrofi su persone e popoli già provati dalla miseria, ridicolizzare i costruttori di pace, un tempo osannati, oggi disprezzati e additati nel migliore dei casi come ingenui utopisti, nel peggiore come meschini approfittatori o disertori vigliacchi.
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