martedì 15 ottobre 2024

Le "Giornate" di Gregorčič e della Soča

 

Oggi, 15 ottobre, è la "Giornata" di un grande personaggio sloveno. Ma ricordando lui, tra ieri e oggi si celebra anche la "Giornata" dell'Isonzo, che in sloveno si chiama Soča e, come il sostantivo "reka" (fiume) è di genere femminile. 

Nel paese di Vrsno, sotto l'ombra del massiccio del Krn, poche case rurali tra gli alpeggi, a mezza costa tra la Soča e le alte vette, il 15 ottobre 1844 è nato Simon Gregorčič, poeta, scrittore, patriota, sacerdote, al di là delle definizioni soprattutto Uomo.

Già da bambino ha conosciuto l'asprezza della vita del pastore, vegliando sulle mucche e imparando i fondamenti del mestiere del casaro. Dimostrando fin dalla più tenera età una particolare intelligenza, viene avviato ben presto all'unica istituzione nella quale avrebbe potuto studiare e approfondire gli elementi costitutivi della realtà, il Seminario.

Ed è così che il giovane Simon lascia le erbe e i panorami delle alte vette per studiare e per prepararsi a diventare sacerdote incardinato nell'allora territorialmente enorme Arcidiocesi di Gorizia. Svolgerà il suo ministero prima a Kobarid, non lontano dal paese natale, poi a Branik, sotto l'antico castello di Rifembergo, a Gradiska pri Prvačini e infine a Gorizia.

Per la forza della sua vena poetica, è stato chiamato "l'usignolo di Gorizia" e a lui sono dedicati diversi monumenti, tra essi anche quello collocato nell'Erjavčeva ulica a Nova Gorica.

Si potrebbe sintetizzare il suo messaggio con la parola "amore", declinata in molti modi. Gregorčič ha amato appassionatamente la sua patria, al punto che sulla sua tomba, nel cimitero presso la chiesa di San Lorenzo a Smast, è raffigurato come il nocchiero che conduce la barca Slovenija attraverso i marosi minacciosi del suo tempo. Il suo più noto poema, dedicato alla reka Soči, oltre che essere una vera e propria dichiarazione all'amato corso d'acqua, preconizza con qualche decina di anni d'anticipo la catastrofe della prima guerra mondiale e la sofferenza che attendeva il suo popolo. 

Ha amato la natura, quella conosciuta quando da piccolo percorreva in lungo e in largo le balze del Krn alla ricerca delle mucche e delle capre. In tante sue poesie ritorna la profonda nostalgia della gioventù tra le malghe. Le montagne contemplate dalla pianura portano un messaggio di amicizia e lo stesso fiume ormai lento nel suo percorso verso il mare, ricorda lo splendore e la vivacità delle cascate alpine. In una sua poesia, paragona il suo essere stato pastore felice tra i prati sotto le montagne e il suo svolgere l'incarico di pastore d'anime, pensoso, nostalgico e molto spesso triste, rinchiuso nella sua nera veste. La malinconia che traspare dalle sue parole non gli ha impedito di diventare un punto di riferimento molto importante per i suoi parrocchiani, un prete amatissimo, tanto che al suo funerale si era formato un corteo lunghissimo che aveva attraversato la città di Gorizia e che aveva indotto un altro importante autore sloveno, Alojž Gradnik, a raccontarlo con emozione e sorpresa.

Il suo cuore lo ha avvicinato anche a una donna e l'uragano dei sentimenti corrisposti ma incompatibili con la veste talare si è riversato sia nel suo modo di intendere la Chiesa, polemico con tutto ciò che in essa appare come favoreggiamento alla banalità. al carrierismo e al classismo. E si è manifestato anche in alcuni dei suoi più struggenti versi, là dove esplode con potenza la contraddizione fra il desiderio di vivere il più umano dei sentimenti e la costrizione a una forzata rinuncia, dipendente dalla sua situazione di chierico. E' da questa privazione che peraltro scaturisce la caratteristica malinconia che traspare in tutti i suoi scritti, un senso di piccolezza di fronte al mistero della vita e della storia che non gli impedisce di impegnarsi e di lottare, ma che al fondo rileva sempre il calore di un fuoco che, al di là di tutto, resta inestinguibile. 

Di ogni essere umano si potrebbero scrivere enciclopedie, perché l'esistenza di ognuno è sempre un condensato immenso di pensieri, opere, azioni che in un modo o in un altro hanno contribuito a rendere la storia del mondo così come è. Ancor più vera è questa affermazione se applicata alla vicenda di un uomo e di un poeta come è stato Simon Gregorčič. Per il momento non si può che rinviare alla lettura dei suoi "Canti".     

venerdì 11 ottobre 2024

Dopo Selvelli e Cattunar, anche "Due città in una", con il direttore di Avvenire, alle "18.03"

 

Sono tanti i libri usciti in questi ultimi mesi sulla storia di Nova Gorica e di Gorizia. Tra essi sono da segnalare Capire il confine, spettacolare testo dai mille risvolti di Giustina Selvelli, Storia di una linea bianca, avvincente racconto del confine da parte di uno storico esperto quale è Alessandro Cattunar, SenzaconfiniGorizia Nova Gorica, dalla A alla Ž, pubblicato da UNITRE e presentato questa sera a Cormons (se qualcuno è interessato può rivolgersi direttamente al responsabile di questo blog e averne una copia gratuita).

La profonda Selvelli e il documentatissimo Cattunar sono stati presenti e hanno presentato i loro lavori nell'ambito della prestigiosa rassegna "Il libro delle 18.03", con uno straordinario successo di pubblico e di critica.

Ora anche al nostro Gorizia Nova Gorica, due città in una (o Povezani mesti nella versione sin lingua slovena) tocca l'onore di affrontare l'attento e preparato pubblico delle 18.03. A Gradisca d'Isonzo, sala Comunale, il 18 ottobre. Non è certo la prima presentazione, tutte le precedenti sono state interessanti occasioni di incontro e approfondimento dei temi relativi alla Capitale europea della Cultura 2025. Questa volta l'ospite chiamato a introdurre e a dialogare con l'autore è Marco Girardo, un caro amico oltre che direttore del quotidiano Avvenire - uno dei più attenti, influenti e liberi giornali presenti oggi in Italia. E' un'occasione straordinaria per portare le nostre città a livello di attenzione nazionale e internazionale.

Un grazie speciale a Paolo Polli per questa bellissima opportunità.

lunedì 7 ottobre 2024

L'ora del Satyagraha, la nonviolenza attiva

 

Sono tanti, anzi tantissimi i Paesi in guerra. Centinaia di migliaia di persone stanno morendo, in conflitti dei quali si parla tanto e in altri che non sembrano interessare a nessuno, se non a chi li combatte.

Il problema è la violenza, con la cavernicola pretesa che essa possa in qualche modo servire a risolvere i problemi esistenti fra le persone e i popoli. 

Ci sono dei momenti nei quali un'ombra di disperazione e di impotenza sembra stendersi sui destini degli umani. La violenza domina le relazioni, a livello interpersonale e internazionale, non sembra esserci possibilità di tregua.

La giornata odierna ricorda un terribile atto di violenza, preceduto da 75 anni di oppressione violenta e seguito da una sanguinosa guerra drammatica, della quale sembra non essere all'orizzonte la parola fine.

L'unico modo per celebrare la memoria dei caduti, in Israele, in Gaza, in Libano, in Iran e in tutte le parti del mondo, è riprendere in mano il cammino del Satyagraha, la nonviolenza attiva propugnata in epoca moderna da Gandhi, ma già preconizzata nella bibbia ebraica, nei testi coranici e nel vangelo di Gesù. "Porgi l'altra guancia" è tutt'altro che l'invito a rassegnarsi di fronte alla prepotenza dell'offensore. E' invece l'azione concreta di ribellione, quella che costringe chi vuole picchiare o uccidere a ritrovare la dimensione della propria umanità.

La regola del futuro è quella secondo la quale chi apparentemente vince in realtà perde e chi sembra perdere in realtà vince. Il che è una traduzione del concetto "chi vorrà salvare la propria vita la perderà e chi la perderà per la causa della Pace vera, la troverà". Vive chi muore e muore chi vive, come direbbe il grande Michelstaedter invitando a essere persuasi e a rifiutare la retorica.

Ma come mettere la questione se si esce dalla scelta di una testimonianza personale e ci si trova di fronte alla necessità di salvare dall'oppressione i soggetti più deboli e fragili? Io posso anche accettare di morire piuttosto che uccidere. Ma se di fronte a me vedo un atto di violenza nei confronti di un bambino o di un povero inerme, ho il dovere di intervenire, anche nel caso in cui per stornare la minaccia non ci sia altro mezzo che la coercizione fisica?

Sono domande terribili, che interpellano le coscienze e anche spesso le sconvolgono, come accaduto al grande pastore e pensatore protestante Dietrich Bonhoeffer, sospeso tra la convinzione pacifista e la scelta di attentare a Hitler. Con la proposta di un'etica della situazione in grado di responsabilizzare al massimo sviluppo l'intelligenza umana, Bonhoeffer sceglie il rischio e mette in discussione anche la sua convinzione più profonda, ritenendo così di poter evitare all'umanità intera ulteriori immense sofferenze, oltre a quelle già fino a quel momento provocate dal dittatore nazista. L'attentato, come si sa, non sortì l'effetto sperato e il giovane perse la propria vita a Buchenwald, lasciandoci una testimonianza di straordinaria umanità. Le sue lettere dal carcere, raccolte sotto il titolo di Resistenza e Resa, sono uno dei pilastri capisaldi della letteratura mondiale del XX secolo.

Allora che fare? Sperare contro ogni speranza, direbbe Paolo di Tarso. Ma concretamente significa diffondere la teoria della nonviolenza attiva, contestare le scorciatoie che prevedono l'uccisione e l'assassinio, sotto forma di terrorismo - l'unica arma efficace dei poveri - o di bombe a grappolo che devastano i corpi di decine di migliaia di bambini. Credere nel dialogo e nella trattativa significa imparare dai martiri di ogni tempo a dare la propria vita perché la violenza sia bandita dalla società, la guerra diventi un lontano ricordo e scompaiano la armi dall'orizzonte del mondo.

E' un illusione o è una possibilità reale? E' la basagliana utopia della realtà, che legge l'etimologia del vocabolo premettendo l'eu e non l'ou, il "bel luogo" e non il "non luogo". Se il Pianeta sarà il "bel luogo" della nonviolenza rovescerà il capitalismo liberista, vera fonte di ogni sofferenza e sopravvivrà, in caso contrario il suo destino sarà quello di essere un "non luogo" e la morte globale avrà la sua ultima, tragica parola.

martedì 1 ottobre 2024

Le celle telefoniche tra Nova Gorica e Gorizia, un confine da demolire

 

Alla vigilia della celebrazione della Capitale Europea della Cultura, c'è un ambito nel quale il confine è rimasto in piedi. E' un vero ostacolo, del quale stranamente si parla molto poco. Per essere rimosso non occorrerebbero ruspe o scavatrici, neppure si dovrebbero istituire particolari corsi di approfondimento.

Si tratta delle LINEE TELEFONICHE. Il malcapitato che proviene dalla Slovenia ed entra in Italia deve attendere qualche ora - o almeno una ventina di chilometri se si veleggia verso il casello autostradale di Villesse - prima che si ristabiliscano le normali potenzialità del roaming. Nel frattempo non riesce a telefonare, non gli funziona internet, non può usare applicazioni utili come easy park perché la linea non c'è o è intermittente. Lo stesso vale per l'italiano che è andato a qlandia o semplicemente a far benzina, quando rientra non si raccapezza più.

Non si sa bene perché, ma in molte parti d'Italia il "campo" lascia molto a desiderare. Lo sa bene chi percorre la Costiera verso Trieste o si aggira tra le strade della Bassa Friulana. Non parliamo poi dei treni, dove a ogni "buco nella rete" si innalzano al cielo una lunga serie di improvvisi e condivisi rosari.

Il fenomeno è meno evidente al contrario, quando si entra in Slovenia, passata la frazione di spazio e tempo necessario al cambio di cellula, tutto sembra funzionare a meraviglia.

Ordunque, sarà possibile che le reti cellulari abbattano i rispettivi confini e che i poveri diavoli che arrivano in Italia possano continuare a conversare al telefono o navigare in internet senza doversela prendere con chissà chi, per l'improvvisa scomparsa della voce dell'interlocutore e per la sua sparizione di lunga durata? Capitale della Cultura sì, ma rendiamo possibile una condivisione delle "celle" in una fascia chilometrica almeno simile a quella della vecchia, cara "prepustnica"!

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