Ed è proprio pensando a Tiziano Terzani che sotto l'albero con gli occhi abbiamo collocato anche noi la nostra piccola pietra simbolica, con la speranza di raccogliere il suo testimone e di essere sempre, almeno più possibile, costruttori di pace. E questo è possibile se si è capaci, proprio come diceva Terzani, di ascoltare le ragioni dell'altro. Il che non significa condividerle, ma porre le basi per chiedersi se abbia un senso un intervento violento, a livello personale o internazionale, al fine di risolvere una determinata questione. Quanto questo sia facile a parole, ma difficile in realtà, lo si sperimenta ogni giorno, quando si invoca la pace partecipando a manifestazioni e a gesti eclatanti di protesta e poi non si è capaci di superare neppure le piccole incomprensioni quotidiane, vanificando di fatto la richiesta ai governanti di cessare il fuoco e di sedersi al tavolo della trattativa.
E allora? Allora la strada da seguire implica un impegno, da una parte personale, dall'altra collettivo. Dal punto di vista individuale, è logico che in un tempo drammatico come l'attuale occorre un soprassalto di responsabilità. E' necessario cioè che nel piccolo contesto dell'ordinario scorrere della vita, si ribaltino situazioni incancrenite, si riaprono percorsi di dialogo precedentemente bloccati, si percorrano con nuova convinzione sentieri interrotti. Dal punto di vista collettivo, mai come ora è necessario credere nell'autentica Politica.
Cosa significa ciò? Significa che se accettiamo le attuali regole della democrazia, qualcuno deve prendere su di sé la croce e incamminarsi anche sulla via della rappresentanza. La democrazia - almeno come determinata dal dettato costituzionale - implica da una parte la partecipazione assembleare alla costruzione della società, dall'altra l'accettazione della regola della dimensione elettiva. Tutti possono fare pressione culturale e sociale per ottenere ciò che si ritiene giusto, ma è necessario anche eleggere i rappresentanti del popolo, in modo che essi portino negli spazi governativi e amministrativi le idee e le posizioni di chi li sceglie. Tra l'altro è questa l'etimologia della stessa parola "deputati".
Se si è convinti delle proprie concezioni del mondo, occorre esprimerle in forma partecipata e assembleare, ma anche in quella determinata dalla rappresentanza. Per esempio, se la mia idea di società è internazionalista e ritiene che le armi siano lo strumento principe per affermare le ragioni del Capitale, è giusto che io manifesti per far sapere al Governo di turno il mio disaccordo nei confronti di chi ritiene giusto produrre e vendere armi o inviarle in zone di guerra. Ma se le regole democratiche affidano a chi la pensa diversamente da me di avere una maggioranza che consente di decidere, il modo per cambiare le cose non dipende tanto dal mio costante scandalizzarmi, quanto dalla decisione di mettersi a disposizione del proprio gruppo di pressione culturale, presentandosi al giudizio degli elettori. Lo stesso vale, sempre in termini esemplificativi, per l'accoglienza dei migranti. Se sono convinto dell'umana fraternità o sororità universale, è logico che rifiuterò qualsiasi forma di rifiuto, di respingimento e di maltrattamento, mentre al contrario proporrà accoglienza, condivisione e sostegno. Ma perché la legislazione possa trasformare il mio pensiero in regola valida per tutti, devo cercare di vincere le elezioni. Insomma la concretizzazione della mia istanza morale passa attraverso la straordinaria fragilità della ricerca del consenso elettorale, con tutti i limiti tecnici e mediatici che influenzano in modo determinante un'opinione pubblica ben poco avvezza alla lettura e all'approfondimento.
C'è un'alternativa a tutto questo? Mah, è difficile dirlo. Tuttavia l'evidente spaventosa crisi della democrazia rappresentativa pone una questione decisiva: la situazione è questa per il deterioramento delle istituzioni o per un livellamento in peggio della cosiddetta classe politica oppure è l'inevitabile punto di non ritorno del sistema capitalista? Se la risposta è questa seconda, il problema diventa ben complesso. Come uscire dal capitalismo? Come immaginare e soprattutto realizzare un sistema alternativo? Per arrivarci, si può individuare un metodo che consenta una transizione abbastanza sostenibile e nonviolenta oppure c'è la necessità di agire una vera e propria rivoluzione? E' inevitabile il passaggio attraverso la morte per addivenire alla risurrezione, ben sapendo che lo sprofondamento nella guerra globale nel tempo della bomba atomica potrebbe portare alla stessa cancellazione della Vita sulla Terra?
Insomma, l'insoddisfazione del momento induce a meditare e il pensare deve portare all'azione, in modo concatenato e consequenziale. E' certo che non basti più il rituale stracciamento di vesti e l'indicazione del "mandante" di turno. Occorre piuttosto innestare la marcia e procedere spediti, affinché le proprie istanze non siano sistematicamente mortificate da rappresentanti che non rappresentano, ma che possano incidere sul cambiamento della società. Manifestando pubblicamente, anche correndo il rischio di essere ripagati con qualche manganellata o anche peggio. E gettandosi a capofitto nell'agone della politica rappresentativa.
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