Il Comune è quello di Rignano sull'Arno, la frazione è quella di Troghi e l'agglomerato di case che interessa questa storia si chiama Il Focardo. Qualcuno ha pensato di allestire un piccolo "cammino", cinque chilometri in tutto, per contemplare la bellezza dei luoghi e per meditare sul mistero dell'umana crudeltà.
Si comincia dal piccolo cimitero della Badiuzza. C'ero già stato altre volte, la prima nel 1974, avevo 14 anni ed erano ancora presenti alcuni dei protagonisti della vicenda. In questo caso non ho potuto trattenere un moto di commozione. Rispetto al passato, il cimitero ha due ospiti in più, le seconde cugine Paola e Lorenza Mazzetti, scomparse nel 2020 e nel 2021. Sono le gemelle, originali e piene di creatività, che in tutta la loro esistenza hanno sublimato la tragedia, trasformandola in opera d'arte, il libro Il cielo cade, le frequenti regie cinematografiche, le mostre di pittura e di fotografia. Erano state quasi adottate dalla famiglia Einstein, Robert e Nina Mazzetti, hanno condiviso i momenti di terrore e la disperazione della separazione violenta dalle zia e dalle altre cugine, Luce e Cici. hanno trascorso una vita intera a rielaborare e a ricostruire, non soltanto per sé stesse ma anche per aiutare tante persone a superare la tentazione della vendetta, a far vincere il perdono, a costruire sempre una nuova possibilità. Mi è dispiaciuto averle conosciute solo negli ultimi anni, ma quanto entusiasmo hanno saputo suscitare in me, con la loro irresistibile simpatia e la travolgente semplicità e saggezza!
Il monumento è sempre lì, edificato almeno quaranta anni dopo gli eventi, slanciato verso l'alto come una fredda protesta verso il Cielo. Per un istante si scostano le nubi e un raggio di sole colpisce pietoso il ferro. Sotto da una parte riposano Nina Mazzetti, Anna Maria detta Cici e Luce Einstein, uccise senza pietà dai tedeschi che stavano per essere cacciati dagli Alleati. Cercavano Robert, volevano rapirlo per ricattare il cugino Albert in America. Ma Albert non era nella villa, si trovava con i partigiani nei boschi. Nina gridava: Robert vieni, vogliono ucciderci tutti! Ma Robert non aveva sentito e i suoi compagni di lotta lo avevano trattenuto, forse convinto che nessuno avrebbe fatto del male. E invece no, il soldato che separava le une, inviate a nascondersi nella stanza alta e le altre, trascinate nella sala rossa. Poi solo gli spari, e poi la fuga, il fuoco, i contadini pietosi che si prendevano cura della zia Seba, di Paola, di Lorenza, di Anna Maria che poi è mia madre. La corsa nei boschi e da lontano, il bagliore dell'incendio. Poi il ritorno di Robert, la muta disperazione, forse un ingiustificato senso di colpa. Robert Einstein, l'ingegnere, vende i suoi beni, sistema il futuro delle gemelle, scrive parole profonde a ogni persona cara e decide di chiudere la parentesi della sua vita. E chiede di stare lì per sempre, accanto alla moglie e alle figlie, diciassette e ventisei anni.Il cammino riprende. Si passa vicino a laghetti intorno ai quali d'estate pascola il bestiame, si vedono cancelli che introducono a ville sontuose, si sente ovunque l'abbaiare dei cani e dopo un po' si arriva al Focardo. C'è la casa del Peppone, il capo dei contadini che aveva accolto per primo i fuggiaschi dalla casa in fiamme. Lo ricordo cinquanta anni fa, alto, solenne, alle lacrime nel riconoscere mia madre, detta "La Picchia". ora ovviamente non c'è più, ma la figlia abita ancora la stessa casa e c'è il tempo per un breve, fuggevole saluto. E ora la casa, bellissima, dei miei prozii, Nina, sorella di mia nonna Ada e Robert Einstein. Per un varco si riesce a entrare nel giardino, sembra di sentire le risate, le ampie discussioni, di vedere arrivare ospiti illustri. Poi cala soprattutto un silenzio strano, il posto è intriso di un dolore che permane, quasi incollato alle pareti, alle finestre chiuse dai pesanti serramenti. E' una sofferenza immensa, il rumore degli spari, l'odore del sangue, il componimento dei corpi straziati. Ma è come se fosse rimasto lì, una parte penetrata in Robert fino al gesto estremo, una parte prigioniera del Focardo. Ha lasciato liberi tutti gli altri, ciascuno a suo modo, di vivere una vita piena di intensità, di umanità. c'è il tempo per sbirciare un stanza, quasi una cantina con le finestre rotte. Dentro ci sono dei disegni, sembrano quasi messaggi pompeiani. La mano è forse di Paola o di Lorenza, a un grazioso uccellino può darsi che abbia collaborato anche mia madre. Sono sprazzi di luce, memoria di un tempo di grande gioia, stroncata da una sparatoria, una manciata di giorni prima della "Liberazione". Ma sanno suscitare anche adesso un sorriso. E permettono di uscire dalla villa, sorprendentemente, con nel cuore un'improvvisa sensazione di Speranza.Basta uno sguardo, tra i presenti, per capirsi al volo. L'emozione lascia spazio alla gioia dello stare insieme. La vita è bella e vale la pena di essere vissuta. Chi l'ha persa così drammaticamente non soffoca, con una falsa idea di ricordo, la possibilità di continuare a sorridere. Al contrario, il ricordo, lungi dal suscitare l'odio, si trasforma in impegno. E in un abbraccio di pace.
Bello e invitante, grazie.
RispondiEliminaUn racconto di vita reale, vissuta, drammatica, espressa con la sensibilita' e la forza della speranza che vive in una persona che sa, per fede ed esperienza, che
RispondiEliminal'essere umano e' votato al Cielo. Grazie.