E' stata una bella esperienza di Capodanno.
13 persone, provenienti da Italia Slovenia e Inghilterra, hanno percorso la seconda parte dell'Iter Goritiense (o Goriški camino o Cammino goriziano, come dir si voglia).
Il punto di incontro è stato il monumento alla pace di Cerje, dove immediatamente è iniziata la bellezza di un incontro tra persone con lingue, storie, culture, esperienze molto diverse fra loro, ma con in comune il desiderio di camminare insieme, in amicizia e fraternità.
La natura ci ha messo del suo, le giornate del 30 e del 31 dicembre sono state tra le più belle e limpide dell'anno, cosicché i passi sono stati accompagnati dallo sguardo verso la piana di Gorizia e Nova Gorica, i "monti goriziani" e le Alpi Giulie lontane, con lo splendore della neve a raccontare le vette del Triglav, del Krn e del massiccio gruppo del Kanin.
L'itinerario è magnifico. La dorsale del Fajt/Trstelj ha consentito di ricordare la seconda tematica, quella delle ferite che la prima guerra mondiale e poi il fascismo e il nazismo hanno tracciato sul tessuto vivo di popoli che fino a quel momento hanno convissuto in una relativa pace, favorita anche dal clima culturale e spirituale che aveva le sue radici nella gloriosa storia del Patriarcato di Aquileia.
Dal suggestivo colle di Mirenski grad, dopo un'indispensabile visita agli affreschi di Tone Kralj nella chiesa di Maria, i viandanti hanno raggiunto il cimitero di Miren, approfondendo l'assurda storia di tombe attraversate dal filo spinato di un confine tracciato nel 1947 e rettificato soltanto nel 1974. I campi di Vrtojba hanno poi accolto tutti, con il passaggio accanto al museo della torretta confinaria, gestito dal Goriški muzej e da molti considerato il "più piccolo centro espositivo d'Europa". Dalla piazza di Šempeter alla sede di tappa, l'ostello di via Seminario in Gorizia, è stata una lunga meditazione sulla rinascita del progetto di città che oggi vengono additate all'Europa come capitale della Cultura. Il parco Basaglia ha consentito di pensare alla figura del grande Franco Basaglia e all'abbattimento dei muri e alla cancellazione dell'istituzione negata che era il manicomio, il centro storico ha consentito di entrare nel vissuto di una terra nella quel ogni angolo consente di scoprire la mescolanza, la drammaticità, ma anche il fascino dell'incontro tra le diversità.
Graditissima è stata l'ospitalità nei locali di via Seminario 13, un tempo Seminario teologico, poi casa di riposo per sacerdoti anziani o malati e ora luogo di squisita accoglienza per pellegrini e viandanti, giovani e adulti, impegnati sulle cie dei cammini territoriali, nell'anno del Giubileo della Speranza e della Capitale europea della Cultura.
Nell'ultimo giorno dell'anno si è attraversata tutta Nova Gorica, cominciando dal meraviglioso Parco Rafut, salendo a Kostanjevica per poi soffermarsi nel cuore della città. Presso la Knijgarna Kavarna Maks si è stati sorpresi dalla gentilezza delle persone presenti. Hanno offerto a tutti caffé, the e ottimi dolciumi. C'è stato anche il tempo per godersi la vista di un luogo che sta favorendo in ogni modo l'intreccio fra le culture, offrendo anche una selezione libraria in più lingue di primo ordine.
Architetture e urbanistica del XX secolo, insieme a monumenti interessanti e a personaggi che hanno costruito la storia del territorio, si sono affastellati nella mente e nel cuore dei camminatori. Si è rivelata almeno in parte la verità della scelta di una capitale culturale non determinata dalla specificità dei peraltro assai interessanti particolari, ma dal protagonismo delle persone, gli abitanti chiamati a essere e sentirsi parte non più di una sola, ma di due città profondamente congiunte fra loro.
C'è stato il tempo per contemplare l'Isonzo Soča, attraversando la nuova passerella ciclopedonale nei pressi del Kajak club, costeggiando il fiume e riattraversandolo sopra il ponte costruito sulla base del Trattato di Osimo, del quale nel '25 si ricordano i 50 anni dalla sottoscrizione. Naturalmente, per chi non conosceva la zona, non poteva mancare un'espressione di stupore davanti al ponte ferroviario di Solkan, quello con la luce 'arco di pietra più grande del mondo.
Presso la parrocchiale di Santo Stefano inizia il ripido sentiero che supera circa 600 metri di dislivello che separano la frazione dalla cima di Sveta gora, nome sloveno che sta per Monte Santo. E' un luogo di dolorose memorie belliche, evidenti anche qua nelle ferite inferte dalla bombarde alla montagna. Ma è anche punto di riferimento spirituale e culturale, grazie alla vivace e avvincente presenza del rettore, pater Bogdan Knavs. La sua accoglienza è stata straordinaria. Nella sala grande del Santuario si è tenuta una grande cena per tutti gli ospiti, alla fine della quale tutti i presenti hanno condiviso le loro storie ed esperienze di vita. Anche pater Bogdan ha raccontato la sua ammirazione per coloro che hanno versato il loro sangue per la libertà e la giustizia, come pure per la difesa del diritto di parlare la propria lingua e di sentirsi parte di uno specifico mondo culturale. La sua benedizione, al termine del pasto, è stata accolta con commozione come segno di vicinanza divina per alcuni e per altri del dono di una nuova, profonda amicizia.
Anche l'ospitalità nella casa "Mir in dobro", sistemata anche grazie al progetto di collaborazione transfrontaliera tra la Basilica di Aquileia e il santuario di Sveta gora, è stata eccezionale. Si è trascorso il momento della mezzanotte con allegria ma anche con consapevolezza, certi di aver ricevuto, con questo "cammino di speranza" non soltanto conforto, ma anche a percezione della responsabilità di portare in tutti i meandri del nuovo anno nascente il senso di gioia e di speranza che si è respirato in questi giorni di salutare fatica condivisa.La conclusione, nelle prime ore del nuovo anno. non poteva che essere sotto l'agile statua di san Francesco, nell'estremità orientale della cresta del Monte. Lì ci è fatta memoria delle troppe guerre che insanguinano il pianeta e della sofferenza di chi bussa alla porta del mondo ricco, senza trovare ospitalità e accoglienza. La vicinanza e l'esempio di san Francesco accompagneranno il ricordo dei partecipanti per tutto questo anno 2025, da molto tempo ormai atteso, sperato e anche un po' temuto. Che dire, se non "grazie" per questi due giorni, circa trenta chilometri e poco più di 50 ore di serena e assai costruttiva convivenza?
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