martedì 2 luglio 2024

Un nuovo ruolo delle religioni per la pace

 

La parola Islam contiene la radice del termine shlm, nella quale è facile riconoscere il riferimento al concetto di "pace".

E' fin troppo immediato riconoscere come il testo sacro del Koràn, come tutti i fondamenti spirituali della religione musulmana, siano essenzialmente improntati alla realizzazione della pace interiore ed esteriore. 

Certo, come è accaduto e purtroppo ancora accade all'ebraismo e al cristianesimo, la traduzione dei principi spesso si è accompagnata a un'interpretazione restrittiva dei testi e soprattutto a una pericolosa politicizzazione della pretesa di essere detentori della Parola dell'Assoluto.

E' interessante notare che in ogni caso le tre vie religiose - sempre diversificate al loro interno da mille diverse concezioni e confessioni - sono accomunate dalla proibizione di nominare o farsi immagine del divino. Tale condizione dovrebbe preservare ogni potere umano dal pretendere di farsi incarnazione nella storia del Dio che invece trascende ogni spazio e ogni tempo. La dichiarazione dell'assolutezza e della non piena conoscibilità di Dio - qualunque nome metaforico gli si attribuisca - dovrebbe condannare qualsiasi imperialismo, ovvero qualsiasi pretesa dell'uomo di sostituirsi a Dio, con tutte le conseguenti tragedie.

Per millenni le religioni dell'assoluto si sono drammaticamente poste come ispirazione di mattatoi provocati dall'appartenenza all'uno o all'altro schieramento portante il vessillo "in nomine Dei". Negli ultimi secoli, con la creazione degli Stati Nazionali e con il diffondersi del veleno del nazionalismo, non ci si è più scannati "in nomine Dei", ma "in nomine Patriae", ovviamente come sempre con i poveri immolati sull'altare del Dio denaro dai pingui e felici sacerdoti del capitalismo. Le religioni sono diventate scuse piuttosto fragili, al punto da non saper coniugare appartenenza spirituale e nazionale, divenendo grottesco sostegno di eserciti formati da persone votate a diverse forme religiose, pronte a fare strage di "nemici" che utilizzavano (e utilizzano) armi benedette dalle guide delle stesse comunità religiose, cattolici contro cattolici, protestanti contro protestanti, cristiani romani contro cristiani uniati e ortodossi, musulmani contro musulmani e così via.

Cosa devono fare allora le religioni? Probabilmente prendere atto - senza drammi e forse anche con un senso di profonda liberazione - di essere state marginalizzate dal neoliberismo imperante. La loro forza potrebbe essere proprio al loro attuale debolezza. Potrebbero, rigorosamente insieme, rinunciando all'assolutezza del "proprio" Dio per accogliere con convinzione la consapevolezza della sua irriducibile e inconoscibile "unicità". E in questa rinuncia creativa le religioni possono portare effettivamente un messaggio di speranza, tanto più forte quanto più svincolato da interessi di parte.

Tale messaggio potrebbe incentrarsi su una parola cara a tutte le tradizioni mediterranee e non solo: la misericordia. Nell'Islam è uno dei tanti nomi di Dio (ma quello più vero nessuno lo può conoscere) e il termine arabo che lo rappresenta, corrisponde all'utero materno, il luogo attraverso il quale ogni essere umano è transitato per venire al mondo. L'annuncio di una dimensione di misericordia generativa potrebbe essere il fondamento di una nuova concezione dell'umanità e delle sue relazioni. Nel termine misericordia ci si può riconoscere tutti - credenti o non credenti - come espressione del bisogno profondo che alberga in ogni cuore e come atteggiamento di costruzione di una nuova società fondata sull'azione del "miseris cor dare".

Insomma, invece di temerlo e ostacolarlo, l'Islam richiede di essere conosciuto in tutte le sue espressioni e di non essere ridotto a una frangia di interpreti "violenti", infinitesimale frazione all'interno di un Oceano di profonda spirituale bellezza.

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