Dopo la guerra 1914-18 le difficili condizioni di vita hanno portato alla diffusione del veleno liberticida e razzista, incarnato soprattutto nelle dittature. E’ stato un dopoguerra cupo, aggravato prima dall’epidemia “spagnola” e dalla presa di potere da parte di Mussolini in Italia, poi nel 1929 dal crollo di Wall Street e successivamente, soprattutto dall’ascesa di Hitler nella Germania nazista. L’esito, spaventoso, è stata l’incredibile violenza razzista, la seconda guerra mondiale, con tutto il suo carico di orrori, decine di milioni di morti, il male assoluto dei campi di sterminio, le città rase al suolo dai bombardamenti a tappeto, Hiroshima… In tutto questo c’è stato chi ha difeso l’onore di una Nazione infangata da un ventennio di dittatura fascista, dalla vergognosa proclamazione delle leggi razziste, dall’entrata in guerra a fianco dei criminali nazisti, dalle infinite sofferenze inflitte alle inermi popolazioni slovene durante l’occupazione della loro terra: si tratta dei partigiani che hanno rischiato e spesso perduto la loro vita per combattere contro gli oppressori e per guadagnare ai posteri un futuro di libertà, di giustizia, di pacifica e rispettosa convivenza tra i popoli.
Dopo la guerra 1939-45, almeno in Italia, la ricostruzione ha portato grandi ed entusiasmanti novità, radicate nel terreno della lotta partigiana. La scelta repubblicana, la bella Costituzione, l’adesione alla Dichiarazione universale dei diritti della persona umana, la partecipazione alla nuova Organizzazione delle Nazioni Unite hanno consentito la nascita una nuova Italia, libera, democratica, fondata sul lavoro e su un potere “appartenente al popolo”. La Nazione ha saputo imparare la lezione della guerra e, grazie all’intuizione di alcuni intellettuali confinati nell’isola di Ventotene, è stata tra le protagoniste nell’edificazione della nuova Europa. Si è realizzato così un lungo periodo di benessere e di pace, forse il più lungo del quale hanno potuto godere degli esseri umani nel corso della storia dell’umanità. E’ vero, tutto ciò ha riguardato una piccola parte del mondo, nel resto del pianeta sono nel frattempo continuate a esistere fame, malattie, miseria e guerra. Il percorso verso una nuova umanità, non più divisa da confini e da terribili ingiustizie, è ancora molto lungo e ha trovato nella crisi di questi giorni un momento di enorme importanza.
Come usciremo dal coronavirus? Il ricordo delle tante persone che si sono ammalate, di quelle – troppe! – che hanno perso la vita a causa del morbo ma anche di tanti errori e interessi di parte, porterà a una catastrofe peggiore, come accaduto dopo il 1918? Oppure, come e più di quanto accaduto dopo il 1945, sarà invece l’inizio di un nuovo modo di concepire il tempo, gli spazi, il rapporto con l’ambiente, le relazioni interpersonali, quelle fra le Nazioni? Questo tempo di silenzio e di sostanziale reclusione, sarà l’inizio di un mondo nuovo, dove la sofferenza condivisa ci farà sentire tutti parte di una più vera e fraterna umanità? Raggiungeremo gli obiettivi di una solidarietà universale, della centralità della persona rispetto al profitto economico, di un’autentica uguaglianza nei diritti, di una libera circolazione delle persone ovunque? Si fermeranno le industrie e i commerci delle armi, sostituiti da enormi investimenti per la salute, per l’alfabetizzazione, per un lavoro e una giustizia sociale compatibili con la salvaguardia e il rispetto della nostra terra madre?
La risposta a queste domande dipende anche da ciascuna e ciascuno di noi.
A cavallo del millennio pensavamo di essere arrivati alla "fine della storia", a un processo quasi inerziale di diffusione e consolidamento della democrazia, dal "patriot act" a oggi abbiamo scoperto che il processo democratico necessita invece di essere periodicamente rinfrancato e rinforzato pena il ritorno agli eventi post 1918.
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