domenica 6 luglio 2025

La Messa è finita...

 

Quando una persona decide volontariamente di farla finita con la vita, si provano diverse sensazioni: si vorrebbe capire, si è coinvolti in pesanti (e quasi sempre vani) sensi di colpa, si lascia spazio alla compassione, si invita alla contemplazione del mistero, ci si propone il silenzio, ci si impegna nella parola, perché il grido di quell'ultimo gesto non resti inascoltato.

Il suicidio del giovane prete di Bergamo non poteva passare inosservato e molti hanno voluto ricordarlo, normalmente con molto rispetto e con il desiderio di comprendere. Il presbitero è un personaggio che vive un'esistenza in pubblico e qualsiasi suo gesto che trascenda il tran tran quotidiano, non può che diventare oggetto di approfondimento e di riflessione, al di là della conoscenza o meno del soggetto del quale si parla. A lui quindi, che non ho conosciuto se non dalle fotografie, un pensiero affettuoso, fraterno e pieno di profonda pietas. Le parole che seguono non hanno a che fare direttamente con l'evento, nessuno potrà mai spiegare il come e il perché possa venir meno in un essere umano l'elementare istinto di sopravvivenza. 

Quella della guida della cattolicità è questione complessa, radicata da una parte nelle parole e nelle azioni delle prime comunità cristiane, dall'altra nella sistemazione organizzativa derivata dalla sostanziale identificazione tra il potere politico imperiale e quello essenzialmente religioso, verificatasi nella sua essenza nel corso del IV secolo. Si procede da un fondamentale passaggio, il fatto che nei testi fondanti non si parla di sacerdozio, se non nella rielaborazione teologica della lettera agli Ebrei che identifica nel Cristo l'unica possibile realizzazione del "dono del sacro" (etimologia di sacer dos). L'organizzazione della prima Chiesa sembra rifuggire dal termine, utilizzando maggiormente i sostantivi presbitero (l'anziano, il saggio coordinatore della comunità), diacono (servitore delle mense, protagonista dell'esperienza della condivisione fraterna), episcopo (il sorvegliante, punto di riferimento e di unità fra le diverse realtà sparse nelle città affacciate al bacino mediterraneo). Sarà l'epoca postcostantiniana e soprattutto quella post teodosiana (fine IV secolo) a recuperare la distinzione tra sacro e profano, a sacralizzare il ruolo del sacerdote e del pontefice (vescovo che costruisce ponti tra divino e umano), sulla scia dell'investitura divina riconosciuta al ruolo dell'Imperatore.

Nel tempo questa distinzione si è sempre più intensificata, tanto più nella conferma "quasi dogmatica" di un sacerdozio cattolico riservato esclusivamente a maschi e dell'imposizione del celibato obbligatorio ai candidati al ministero presbiterale.

Questa visione ha creato un'oggettiva separazione tra il clero (la parola stessa significa di per sé "separazione") e la comunità dei fedeli, definiti "laici" e di fatto esclusi dai processi decisionali della Chiesa. Ha funzionato nell'epoca della cristianità, ma ha cominciato a essere messa in discussione con l'avvento della modernità. Tra la Rivoluzione Francese e il Concilio Vaticano II c'è stato un tempo di forte contrasto: da una parte le nuove filosofie, la mondializzazione, la conoscenza e diffusione di nuove forme religiose, gli stessi contrasti intracristiani hanno invitato a una revisione completa dell'idea di leadership; dall'altra le cose sono andate avanti sostanzialmente senza alcun rilevante cambiamento, fino a oggi. Il Vaticano II, da questo punto di vista, ha affrontato alcune tematiche inerenti, ma non ha indicato linee di cambiamento o adeguamento ai tempi nuovi particolarmente significative.

E così il giovane che desidera diventare prete, sinceramente innamorato della figura di Gesù di Nazareth e in principio convinto di trovare la realizzazione del Vangelo nella Chiesa cattolica, si trova incanalato in una miscela micidiale di svariate identità: per una parte cospicua si dovrebbe riconfermare il sacerdos della tradizione medievale, per un'altra parte al contrario ci si dovrebbe immergere fino al collo nella postmodernità, secondo alcuni deve mantenere il potere non soltanto spirituale, secondo altri deve diventare un democratico presidente di piccolo gruppo, possibilmente scelto attraverso democratica elezione. Si prepara a inserirsi nei gangli vitali della società, immaginando un eroismo fatto di coraggiose prese di posizione portate avanti a rischio della propria vita, di un'identificazione con l'esperienza storica e teologica di Gesù, della passione di comunicare la sua bellezza a tutti... E si ritrova invece immerso in un noiosissimo martirio quotidiano fatto di ininterrotte celebrazioni molto più "sociali" che "religiose", di conti da far tornare per mantenere in piedi almeno le strutture fisiche, di baciapile interessati a tenere il prete più lontano possibile dai problemi reali delle persone. Il tutto al prezzo di una vita segnata da una rinuncia esplicita al più elementare e coinvolgente sentimento umano che solo per pochi eletti si trasforma in sperimentazione attiva e passiva dell'amore universale.

La sofferenza dei preti, soprattutto dei più sensibili, deve essere presa in considerazione. La Chiesa cattolica non può chiudere gli occhi e una ridefinizione dell'identità e del ruolo del presbiterato deve essere urgentemente presa in considerazione. Il tempo della Cristianitas non è finito solo nei dibattiti filosofici, ma anche nella vita ordinaria della gente. Il mondo del III millennio, con tutte le sue problematiche dolorose, drammatiche o affascinanti, è radicalmente diverso da quello medievale. Occorre una nuova riflessione che non può prescindere dal superamento del patriarcato attraverso il riconoscimento del presbiterato femminile, dalla definizione di un celibato volontario e non più obbligatorio, da un nuovo coinvolgimento dell'intera comunità nelle problematiche relative alla sua gestione, da una vera e propria laicizzazione del prete, non più costretto dai fatti a essere funzionario del sacro, ma essere umano (donna o uomo che sia) fra altri esseri umani, insieme in ascolto della Parola del Maestro, insieme attenti a tradurla in parole e opere di pace, di condivisione e di solidarietà universali.

venerdì 4 luglio 2025

Salvare la data: in ricordo di Pierluigi Di Piazza, 11 luglio in piazza Capitolo ad Aquileia

 

Ecco un comunicato stampa, con un invito veramente da tenere in considerazione:

Venerdì 11 luglio, alle ore 21, nello straordinario scenario di piazza Capitolo in Aquileia, si terrà l’atteso concerto dedicato a Fabrizio De André e alla sua indimenticabile Buona Novella.

Prima della presentazione musicale, ci sarà un importante momento di ricordo di don Pierluigi Di Piazza. Vito Di Piazza e Andrea Bellavite, rispettivamente fratello e amico di Pierluigi, presenteranno infatti il libro “Le dieci grandi parole. Indicazioni per la vita”. In questo testo, il fondatore del Centro Balducci di Zugliano accompagna i lettori nella scoperta della saggezza profonda insita in quelli che un tempo si chiamavano “comandamenti”, ma che nella dolcezza di don Di Piazza diventano meravigliosi insegnamenti per la vita di ogni persona e per l’armonia dell’intera società. Il linguaggio del testo è sempre intriso della caratteristica umanità di una persona che ha costruito relazioni fino agli estremi confini della terra. Ciò non toglie la forza della denuncia dell’ingiustizia e l’inequivocabile scelta di stare – nell’orizzonte del Dio di Gesù di Nazareth – sempre dalla parte dell’ultimo.

Terminata la presentazione del libro, inizierà la musica, perfettamente integrata con il tema della parte introduttiva. Sarà portata sul palco davanti alla splendida Basilica dall’associazione culturale Le Colone di Castions di Strada, con la collaborazione della Fondazione Fabrizio De André e l’organizzazione del Comune di Aquileia. La Buona Novella, dello stesso De André e di Gianpiero Reverberi, ripercorre la vita di Gesù con gli occhi di Maria, con un’attenta analisi dei testi evangelici canonici e apocrifi e con la meravigliosa ispirazione poetica del cantautore genovese. Tra gli altri pezzi, c’è una celebre rivisitazione dei Dieci Comandamenti, molto vicina al punto di vista di Pierluigi Di Piazza.

La partecipazione è gratuita e l’ingresso in piazza è libero.

domenica 29 giugno 2025

Pater Bogdan Knavs, 25 let duhovnik. La celebrazione a Sveta Gora.

 

Oggi a Sveta Gora c'è stata una grande festa. Si sono ricordati i 25 anni dall'ordinazione sacerdotale di pater Bogdan Knavs, rettore del Santuario che sovrasta le Gorizia. La Messa, particolarmente emozionante, cantata dal coro parrocchiale di Miren, è stata molto partecipata da persone provenienti da ogni parte della Slovenia, che hanno voluto testimoniare il loro affetto e la loro gratitudine nei confronti di un uomo che sta donando la propria vita per diffondere intorno a sé fede, luce, pace e vita. La bella omelia è stata dettata da pater Pavel, del Convento Francescano della piazza Prešeren di Ljubljana. Ha evidenziato come con le capacità che gli sono proprie Bogdan avrebbe potuto essere un elettricista, un allenatore sportivo, un cardiochirurgo. Ha invece deciso di essere francescano e sacerdote, essendo in questo modo nello stesso tempo portatore di luce come un elettricista, educatore e formatore delle coscienze come un allenatore dello Spirito e curando le ferite dell'anima, fasciando il cuore di chi soffre. Anche lo stesso pater Knavs ha voluto offrire al termine della liturgia una sua parola di lode e di ringraziamento, a Maria di Monte Santo, ai suoi genitori, ai confratelli, agli amici e ai compagni i viaggio e di avventura nella vita. Il pomeriggio di preghiera si è prolungato nella condivisione della mensa, con tutti coloro che sono saliti sul monte per partecipare alla liturgia. La commozione di momenti di rito si è trasformata nell'allegria dello stare insieme, stringendo mani e conoscendosi al di là della differenza di lingue, storie e culture esistenziali.

Ho conosciuto Bogdan ad Ajdovščina, il 15 settembre 2019, nel corso dell'annuale celebrazione dell'annessione della regione Primorska alla madre patria slovena. C'era tanta gente e l'intero rito, con i canti, le parole delle autorità, il discorso dell'allora presidente del Consiglio della Repubblica di Slovenija Miro Cerar, era stato estremamente coinvolgente. Mi viene fatto notare che la persona che sta camminando a pochi passi da me è un sacerdote, il rettore del santuario di Sveta Gora. un po' incredulo, mi avvicino e leggo la scritta stampata sul retro della sua maglietta rossa (quella che si vede nella foto accanto) che, in italiano, si potrebbe tradurre così: "Grazie a voi abbiamo difeso la lingua slovena e la nostra Primorska. Grazie a voi, cari partigiani." Seppi parecchio tempo dopo che quelle parole e l'idea di proporre a tanti quella maglietta era stata proprio sua! Con un po' di trepidazione ho chiesto se fosse vero quello che mi era stato detto di lui. Si voltò verso di me, con un sorriso intelligente, simpatico e accogliente. Confermò e ci fu solo il tempo per scambiarsi un abbraccio e un saluto. Rimasi molto colpito, a parte don Alberto De Nadai nel Goriziano e i preti della Lettera di Natale nel Friuli Venezia Giulia, da molti anni non incontravo preti in contesti diversi da quello liturgico, catechistico o pastorale. Mi portai dentro uno splendido ricordo e una domanda sulla possibilità di rivedersi ancora. A quei tempi, sindaco di Aiello piuttosto lontano dalle "cose della Chiesa", mi avrebbe fatto davvero piacere conoscere un prete votato all'incontro con gli altri, fuori dal tempio, come avrebbe detto Pierluigi Di Piazza.

L'occasione arrivò, quando meno me lo sarei aspettato. Si era all'inizio di settembre del 2021. Erano gli ultimi strascichi del tempo delle mascherine e distanziamenti. Era appena finita la festa della città di Nova Gorica, presso il Teatro Nazionale. Mi vide da lontano e il suo immediato "Ciao Andrea" mi colpì molto. Mi aveva visto per non più di un minuto due anni prima e tanto gli era bastato per ricordarsi il mio nome. Da lì inizio una lunga serie di incontri e di colloqui. A livello personale, ho trovato in lui un vero fratello, una persona con la quale aprirmi senza alcuna paura, condividendo pensieri, azioni, come pure dubbi e ricerche interiori. In breve tempo ci si è reciprocamente confrontati e confortati. abbiamo anche iniziato a collaborare, fino a costruire insieme quel bellissimo progetto che è l'Iter Goritiense, il cammino da Aquileia a Monte Santo. Da lui non ho mai sentito una parola di giudizio, sempre invece la profonda valorizzazione di scelte e decisioni forse non del tutto in linea con il pensiero ufficiale della Chiesa. Grazie al suo incoraggiamento, ho ritrovato molti dei sentieri abbandonati da diversi anni, ricomprendendo le scelte e i cambiamenti esistenziali non come un tradimento, ma ala contrario come una grande conferma delle intuizioni originarie: vivere nella dimensione trascendente per amare con tutte le forze possibili ogni persona che vive sula faccia della terra. Grazie caro Bogdan, per ciò che mi hai donato, soprattutto la consapevolezza della verità più profonda della vita cristiana: tutto vince l'Amore.

A livello più ufficiale, ho trovato in pater Knavs un prete profondamente radicato nella tradizione cattolica. Innamorato del Vangelo di Gesù di Nazareth, molto devoto alla Madre Maria, anche nei momenti di difficoltà trasmette una tal gioia di essere cristiano, francescano e prete, da contagiare con il sorriso chiunque abbia la fortuna di incontrarlo. Vero sacerdote di Cristo, è anche un testimone di una ricchissima umanità. Per questo non è uno che si possa rinchiudere in una cella e nemmeno in un Santuario, per quanto importante e frequentato come quello che incombe sulla media valle della Soča. Bogdan incontra l'essere umano nella sua dimensione ordinaria e straordinaria. Ha una speciale missione che è quella di andare a cercare e a comunicare l'amore di Dio a coloro che sono più lontani dalla frequenza alla messa o dalla partecipazione alla vita delle parrocchie. Maestro nell'indicazione delle strade di Dio, in particolare quelle più complesse e alternative, ha trovato nel mondo dei partigiani un campo fecondo. Pieno di gratitudine per coloro che hanno rischiato e spesso perso la vita per liberare l'umanità dalle dittature, pater Knavs ricorda come il loro sacrificio, oltre a contribuire alla cancellazione del mostro nazifascista, ha anche permesso di salvare la lingua, la cultura e la stessa coscienza di essere popolo del mondo sloveno. Viene chiamato ovunque e ovunque con la sua semplicità, con il suo sorriso, con il sommesso invito a condividere la preghiera del Padre Nostro, ha aperto spazi che fino a pochi anni fa sarebbero stati impensati. E' l'immagine concreta di una comunità "in uscita", tanto cara a papa Francesco, una Chiesa nella quale la predicazione delle "verità" non soffoca in alcun modo la verità suprema delle relazioni, l'importanza eccezionale dell'incontro con l'altro. Un po' come è stato il Maestro, Gesù: non gran frequentatore di sinagoghe o del tempio, ma annunciatore della "buona notizia", della liberazione dei poveri e dei prigionieri da ogni possibile schiavitù.

Grazie dragi Bogdan, najlepša hvala za vse, ker si krasen človek in čudovit Božji duhovnik!

venerdì 27 giugno 2025

Si vis pacem..., rovescia i potenti dai troni

 

C'è una grande differenza tra le lotte per i diritti dei lavoratori degli anni '60 e '70, tra le manifestazioni contro la guerra del Vietnam e le attuali azioni di protesta contro il genocidio di Gaza, i conflitti planetari, le leggi che reprimono libertà fondamentali e la sistematica umiliazione dei migranti.

Cinquant'anni fa era il pianeta dei giovani a trascinare nelle piazze milioni di persone, gli studenti avevano iniziato e gli operai li avevano seguiti. La Cultura con la C maiuscola se ne era fatta carico e creava arte, musica, letteratura, per accompagnare i moti e le speranze di autentica rivoluzione. Mettete dei fiori nei vostri cannoni! C'era stato il '68, un fenomeno unico nel Novecento, con tutte le speranze possibili in un mondo nuovo, in un mondo migliore, che si sarebbe potuto cambiare da un momento all'altro, alla prossima svolta della strada della Storia.

Oggi il movimento per la pace, messo ko dal G8 di Genova 2001, dalle conseguenze degli attentati alle Twin Towers e dall'inincidenza della immensa manifestazione contro la guerra in Iraq del 15 febbraio 2003, è del tutto marginale. Lo guidano più o meno gli stessi che quella volta avevano 20 anni e ora ne hanno 70, non creano in alcun modo opinione e sono seguiti da sparuti gruppi di no-boomers, molto volonterosi, che sembrano attendere il giorno propizio, con la stessa disperata passione del protagonista del celebre libro di Buzzati che attendeva l'arrivo dei Tartari al di là del suo misterioso deserto.

Eppure, moralmente parlando, ci sono tutte le ragioni: la violazione sistematica dei più elementari diritti è evidente, in Italia e in tante altre parti del mondo, la crescita al 5% degli investimenti in armi è scelta molto preoccupante e potenzialmente catastrofica, quanto una presidente del consiglio che spara cavolate del tipo "si vis pace para bellum", le leggi europee sul diritto d'asilo e sull'accoglienza die migranti sono ogni giorno più disumane. Anche in sede locale ciò che accade a Trieste, riguardo alla prima accoglienza dei reduci della rotta balcanica e la crociata indetta a Monfalcone contro i residenti musulmani, sono segni di un degrado politico senza limiti. Nonostante tutto questo, le "ragioni" della pace, del disarmo, dell'accoglienza, dei diritti civili collettivi e individuali hanno sempre meno voce e più si contesta - per quanto possibile vivacemente, stante il silenziamento da parte dei principali media -più crescono nei sondaggi proprio coloro che propugnano, in cambio della cosiddetta "sicurezza", la privazione della libertà.

Che fare allora? Vale la pena continuare a gridare su un palcoscenico, davanti a gran parte di spettatori che non solo non sembrano gradire o condividere, ma anche non si tirano indietro nel fischiare sonoramente ogni passaggio? Tra quel pubblico non ci sono soltanto i fascisti più o meno dichiarati o i guerrafondai inveterati, ma quell'altissima percentuale di persone che vogliono vivere serenamente la loro esistenza e si fidano dell'uno o dell'altro, a seconda che prometta o meno la tranquillità dello status quo. Ci sono quelli che temono che le armi del vicino possano causare danni irreparabili al proprio Stato, quelli che pensano che sì, i migranti hanno il diritto di vivere perché sono nostri fratelli, ma vivaddio, occupano tutte le case con le loro famiglie numerose, riempiono di odori d'oriente i condomini e portano via posti di lavoro. Ci sono quelli che hanno paura dei borseggiatori, se non altro perché poi tocca rifarsi tutti i documenti e che quindi invocano maggiori controlli di polizia, coloro che vogliono pene lunghe e sicure per chi ha commesso crimini gravi, quelli che temono che le case possano essere occupate da chi non le ha e poi dovremo andremo a dormire? Come faremo a buttarli fuori? Ecc. ecc. Chi la pensa così sono lavoratori, operai, contadini, studenti, ma anche opinionisti, scrittori, giornalisti che li sostengono, enfatizzando i singoli casi e universalizzando ciò che suscita paura.

L'umanesimo è soffocato da mille timori, efficacemente indotti da un sistema di Potere sempre più agguerrito e tecnologicamente avanzato. Se la mentalità fascista e razzista vince perché offre maggiore certezza di poter rimanere nella sicurezza, forse la si deve combattere cercando di comprendere, prima di giudicare e deridere, il meccanismo della paura. E se la madre di tutte le paure è quella della morte, ogni minaccia di privazione di ciò che si possiede, appare come una piccola morte. Per uscire dal tunnel, occorre forse offrire una nuova, credibile e sostenibile idea di sicurezza, essenzialmente antitetica a quella fasciorazzista. Occorre una nuova filosofia e una conseguente nuova politica che superi l'attuale fase del sistema capitalista, deprivando la forza del dio denaro e immaginando relazioni sociali alternative a quelle dei corto circuiti classici tra padrone e servo, tra ricco possidente e povero indigente. E' necessario superare la funesta identificazione tra Nazione e Stato, ritornando a proporre un internazionalismo di livello mondiale. La strada passa per garantire una sicurezza maggiore rispetto a quella dominante: l'insicurezza della guerra si combatte con il disarmo generale e lo smantellamento di tutti gli arsenali nucleari, l'insicurezza provocata dalla ghettizzazione dei migranti si supera costruendo spazi di gioiosa familiarità e condivisione, l'insicurezza determinata dai cambiamenti epocali che coinvolgono l'ambiente si vince attraverso l'analisi dei fenomeni e lo studio attento di ciò che può servire l'intera umanità e non solo una minima parte di essa, l'insicurezza delle proteste di massa si oltrepassa nella libertà piena di espressione e si pensiero, garantita in ogni istante della vita individuale e sociale. L'insicurezza dei confini si cancella abolendo le linee di frontiera, non moltiplicando i controlli per penalizzare ancora una volta i più deboli.

Già, è necessaria una nuova filosofia, un tavolo su cui negoziare e incontrarsi, su cui elaborare una nuova magna charta del vivere mondiale, la legge della fraternità e della sororità come fondamento di un nuovo modo di essere. Fermiamoci un attimo, ma solo un attimo e poi ripartiamo. Ha senso la parola e la manifestazione profetica. Ma almeno qualche volta, occorre anche avere la sensazione - o la pretesa - di vincere, cioè di riuscire a cambiare il mondo.

domenica 22 giugno 2025

Lepa Pokljuka

 

Un momento di respiro, tra tante preoccupazioni che attanagliano il mondo.

Tra i laghi dell'alta valle della Sava Bohinjka e il massiccio del Triglav, si stende un meraviglioso altopiano, coperto da sani, freschi boschi di conifere, alternati a larghi pascoli. E' la Pokljuka. In inverno è un rinomato centro di sport cosiddetti "nordici", soprattutto ospita spesso i campionati mondiali e le gare di coppa del mondo di biathlon.In estate offre splendide passeggiate, dalle brevi camminate tra un alpeggio e l'altro alle impegnative verso le montagne circostanti. 


La montagna sa parlare a chi la ama, si tratti di giornate calde e limpide, come pure di periodi di pioggia o di drammatici momenti in cui si incappa in un temporale nei pressi di una vetta rocciosa. Anche la vita degli abitanti dei monti è particolare, apparentemente lontana da ciò che accade in altri angoli del Pianeta Terra. E' un duro lavoro quello di chi trae con fatica dalla terra il proprio sostentamento e ti offre con orgoglio e umiltà il frutto della sua azione. Ma gli occhi sono pieni di rude dolcezza e la parola è sempre pregna di una saggezza antica. La Slovenia non finisce mai di stupire, con la costante cura del verde e con un rispetto profondo dell'ambiente.

Quando si vive in città, lo sguardo è sempre attratto da ciò che è molto vicino, non sempre si riesce a cogliere la realtà nella sua complessità. Sui monti accade il contrario, si aprono alla vista paesaggi immensi, catene di cime ancora coperte dalle ultime nevi, enormi valli scavate nei millenni dai ghiacciai, delle quali si può soltanto intuire l'esistenza di un fondo. Forse si può anche perdere qualche particolare, anche se il montanaro è costantemente richiamato alla realtà dalla semplice legge della sopravvivenza. Per carpire qualche segreto nascosto oppure, semplicemente, per vivere.

sabato 21 giugno 2025

Solstizio d'estate 2025. Buona estate al Mondo intero!

 

Il Sole questa mattina, intorno alle 4, si è fermato (solis statio) e subito dopo ha iniziato il suo percorso di ritorno. Le ore di luce da qui a Natale saranno sempre meno, anche se per percepire le conseguenze dei raggi ci vorranno ancora un paio di mesi.

E' l'estate nell'emisfero nord di questo meraviglioso e drammatico Pianeta, che ruota su sé stesso e intorno al Sole ininterrottamente. Ed è tanto importante per noi esseri umani questo movimento che abbiamo dato alla rotazione il nome "giorno" e alla rivoluzione il nome "anno".

E' una pallina minuscola nel Sistema Solare, un granello di polvere invisibile nella Galassia, uno dei miliardi di miliardi di corpi celesti che fluttuano nell'universo, sospinti su un biliardo incommensurabile da un Giocatore appassionato di energie gravitazionali.

Siamo piccolissimi e fragili, in balia delle incontrollabili potenze che ci sovrastano e ci circondano. Invece di unirci in una sola Terra, ci impegniamo a sottrarre lo spazio e il tempo della vita degli esseri umani. Soffochiamo nel nulla l'anelito all'essere, inventiamo ordigni orrendi di ogni tipo per farci del male. L'uomo delle caverne uccideva con la clava il suo vicino di grotta per sottrargli quel poco che aveva, gli invincibili rimani preferivano la Legione, imbattibile con le sue lance e gli scudi, qualcuno poi inventò la polvere da sparo e si intuì subito che le cose non sarebbero finite bene, il 6 agosto 1945 iniziò una nuova era e per la prima volta dal magmatico formarsi del pianeta l'Uomo può distruggere tutto ciò che vive, compreso sé stesso. Premendo semplicemente un bottoncino..

"Uh, che pessimista!" Commenterebbe Bruno Bozzetto! "No, realista", rispondo io. Ma non privo di Speranza, perché convinto che ce la possiamo ancora fare a salvare il tutto. Basterebbe solo invertire la rotta, come il Sole al solstizio. Cominciando con lo smantellare, ovunque e in ogni angolo della Terra, le bombe atomiche e poi via via tutto il resto, trasformando le lanci in falci e i carrarmati in pacifici autobus per portare tutte le persone del mondo a scoprire la bellezza dell'arte e della natura. In una piccola ma stupenda casa che appartiene a tutti e a ciascuno, nessuno, ma proprio nessuno, escluso.

Buona estate, allora!

martedì 17 giugno 2025

Magari esistesse, il diritto internazionale!

 

Io non capisco. Non capisco chi parla di diritto internazionale. In realtà non esiste alcun documento che obblighi qualunque Stato a compiere o non compiere qualunque azione. In realtà l'unico diritto internazionale e la preistorica legge della giungla, chi è più forte vince e sottomette il più debole. Bisognerebbe ammetterlo senza ipocrisie e false ingenuità. Il diritto internazionale non esiste. E' quello che si sarebbe dovuto fare dopo le catastrofi della prima metà del XX secolo, creare un'organizzazione transnazionale, dotata di leggi non derogabili da nessuno, alla quale gli Stati avrebbero dovuto cedere parti importanti della loro rispettiva autorità. In un secolo nulla è stato fatto e quindi è inutile invocare un inesistente diritto internazionale di fronte alle cose che succedono.

E' la legge della giungla che permette ad alcune Nazioni di possedere le bombe atomiche, mentre le altre, se osano pensare di realizzarle, vengono bombardate senza pietà dalle prime. Alcune si sentono la missione di essere gendarmi del mondo, senza alcun mandato da parte di nessuno, altre invece sono costrette a subire le operazioni di polizia cosiddette "preventive". Eppure, sarebbe così semplice, se esistesse il diritto internazionale, stabilire il divieto a qualsiasi Stato del mondo - indipendentemente dalla sua ricchezza o dalla sua influenza sui meccanismi di potere planetari - di costruire e custodire ordigni nucleari. 

E' la legge della giungla che consente ad alcuni Stati, come Israele o gli Stati Uniti - giusto per portare due esempi - di intervenire in altri Stati militarmente, bombardando siti industriali, terrorizzando i cittadini, togliendo la vita con interventi mirati a personalità della politica, della scienza, della cultura di altri Paesi, senza alcuna possibilità di difesa o di replica, senza alcun accenno a motivazioni discusse davanti a tribunali regolari. Immaginiamoci cosa accadrebbe se l'Iran o qualsiasi altra Nazione si comportasse nello stesso modo. Non è difficile, basti pensare ai titoli dei giornali occidentali all'indomani dell'11 settembre 2001: "Attacco alla civiltà". Ecco, proprio così, i civili bombardieri contro gli incivili missili balistici. Che mondo si è creato, tutto incentrato sulla difesa dei "propri" dall'attacco degli "altri". E viceversa, naturalmente.

E' la legge della giungla a stabilire che l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia debba essere condannata e respinta con l'invio delle armi più sofisticate inviate da USA e Unione europea, mentre quella terribile di Israele nei confronti della Palestina debba essere accettata, se non addirittura esplicitamente sostenuta, come un'inevitabile necessità.  

Sì, perché anche questa è legge della giungla, pensare che da una parte ci sia la civiltà, dall'altra la barbarie. La concezione del mondo coltivata nell'occidente influenzato dalla filosofia greca suscita un totalmente ingiustificato senso di superiorità nei confronti di altre visioni della vita considerate meno elevate, immorali, liberticide, guerrafondaie. Ci si dimentica che la civiltà ebraico cristiana, mescolata alla filosofia greca, non ha impedito l'insaturazione delle dittature più feroci della storia, i campi di sterminio e ogni sorta di violenza contro l'uomo e contro la natura.

L'unica soluzione è proprio quella dell'insaturazione di un diritto internazionale. Non è una ricerca semplice, né a breve scadenza. Presuppone la riforma dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e la costruzione di un complesso percorso condiviso. E' una strada lunga e impervia, in tempi nei quali sembra di essere sull'orlo di un abisso. Ma quale altra soluzione, a meno che non si voglia continuare a dire parole vuote - "meglio fare la pace che la guerra", "meglio andare d'accordo piuttosto che no", ecc. - o a manifestare con un numero sempre meno convinto di persone gridando davanti al nulla il proprio desiderio di pace e giustizia in tutto il mondo?