martedì 21 novembre 2023

Vogliamo la bicicletta, vogliamo PEDALARE!

In tutte le città importanti dell'Unione Europea le piste ciclabili consentono spostamenti veloci e sicuri sull'intero territorio. Lasciando da parte i casi di Amsterdam e Copenaghen, dove le biciclette hanno ovunque la precedenza e i trasporti pubblici sono più che efficienti, si può dare uno sguardo a località più vicine.

A Linz in Austria, città 7-8 volte più grande di Gorizia, dalla periferia si può arrivare al lavoro ovunque in bici, il centro storico è conteso tra piste ciclabili e tram elettrificati, poche automobili, traffico sostenibile. Salzburg offre la medesima impressione, con ciclabili molto belle che perforano la montagna sotto il castello, permettendo di raggiungere il centro senza vedere una sola automobile. La vicina Ljubljana, come del resto buona parte della Slovenia, dimostra una spiccata attenzione nei confronti dei ciclisti, anche se alcune criticità vengono rilevate, è presente perfino un informale "sindaco dei ciclisti" che ha lo scopo di tenere alta l'attenzione delle amministrazioni intorno ai diritti dei ciclisti. In questo caso lasciano a desiderare i trasporti pubblici, con conseguente intasamento, nelle ore di punta, delle vie che dalla periferia conducono verso il cuore della città. L'inquinamento dell'aria non rende certo felici i ciclisti che arrancano a lato di strade invase da veri e propri fiumi di automobili. Trieste è un po' particolare, ci sono numerosi tracciati di ciclabili, la maggior parte di essi finisce nel nulla, lasciando sconcertato l'utente che non sa da che parte andare e quali siano i suoi diritti rispetto a quelli dei pedoni. La pista sulle Rive non sarebbe una cattiva idea, se non fosse che in alcuni tratti debba essere ancora finita, in altri il selciato di pietra grezza irregolare mette a dura prova camere d'arie e copertoni, quando arrivano le Grandi Navi (in certi periodi ogni giorno), il tratto migliore della ciclabile viene chiuso per lasciare spazio alle corriere che vengono a raccogliere i turisti. C'è un discreto servizio di bike sharing, non sempre tecnicamente impeccabile, ma con un ottimo personale di riferimento pronto ad affrontare e risolvere eventuali problemi. Verona eccelle, da parecchi anni, con un servizio ai ciclisti di buona qualità, ciclabili sulle carreggiate delle strade principali, può nascere qualche controversia con i pedoni soprattutto in centro. Ottimo è il servizio di bike sharing, funzionale e con postazioni diffuse e ben servite in tutte le zone importanti della città. Normali i mezzi pubblici, senza lode né infamia.

E la Capitale europea della Cultura 2025?

Detto dei nuovi percorsi, culminanti nel ponte ciclabile di Solkan e nella bella kolesarka fino a Plave, le dolenti note vengono dai centri città. Non esiste un sistema di trasporto pubblico coordinato tra le due/una città, se si eccettua il servizio del pionieristico autobus transfrontaliero avviato ancora all'inizio degli anni 2000. A Nova Gorica le ciclabili ci sono, ma non sempre sono funzionali, con frequenti sparizioni in occasione dei principali incroci. Notevole la Nova Gorica-Šempeter, costruita ancora negli anni '50 sul tracciato del mai realizzato secondo binario della ferrovia Transalpina, è ancora oggi un bellissimo percorso di collegamento, indispensabile un tempo per i lavoratori che da casa dovevano raggiungere le fabbriche o gli uffici, non potendo più attraversare il confine. Il centro di Gorizia è buon ultimo in questa pseudo classifica. La dorsale principale, quella che alcuni vorrebbero giustamente chiamare la "ciclovia della cultura", dalla stazione centrale a quella, in Slovenia, di Trg Evrope, è totalmente sprovvista. Il tentativo di portare la pista sulla carreggiata è stato cassato dagli stessi proponenti, con il risultato che oggi percorrere Corso Italia è diventata esperienza abbastanza pericolosa. Altrove si è risolto con pittogrammi, a volte sensati, nella maggior parte risibili, se si vuole rimanere nell'ambito dell'eufemismo. Perfino una parte del centro storico, il Corso Verdi pedonalizzato, è precluso dai segnali di divieto alle bici. Tutto converge a scoraggiare i più convinti, figurarsi coloro che cercano delle buone motivazioni e che si rendono conto di una situazione difficile e delicata, soprattutto per i  bambini.

Eppure Gorizia e Nova Gorica potrebbero essere il territorio ideale per sviluppare un piano del traffico che penalizzi le automobili e favorisca gli spostamenti "a misura d'uomo". Chi va in bicicletta (o a piedi) aumenta la qualità della propria vita, vive la città con maggior attenzione, costruisce più facilmente relazioni sociali, fa salutare movimento e se non ci fosse il traffico motorizzato, respirerebbe aria pura. Il ciclista fa del bene anche agli altri, non consuma combustibili fossili, contribuisce a diminuire l'inquinamento atmosferico. E' un cittadino consapevole e responsabile, anche nelle sue scelte di vita, generali e quotidiane.

Perché non avere il coraggio di un'autentica innovazione, valorizzando le ciclabili ovunque e potenziando il servizio di trasporto pubblico? Perché non disincentivare comportamenti assurdi? Basta andare davanti a una scuola, in particolare in un giorno di pioggia, per vedere con tristezza l'intasamento delle auto di genitori innervositi che scaricano i figli esattamente davanti al cancello. Oppure notare che per andare al posto di lavoro, distante meno di un chilometro, molti tirano fuori l'auto dal garage e passano mezz'ora nel cercare parcheggio più vicino possibile alla porta d'ingresso. Perfino i pensionati usano tanto l'auto, per andare a comprare il giornale sostando esattamente davanti all'edicola o per raggiungere il bar e giocare una partita di carte. Si dice questo non per giudicare, ma per constatare. La battaglia per una città pulita e a misura di bambino si deve combattere tutti insieme, le istituzioni per ciò che è di loro competenza, ogni residente per ciò che concerne gli stili di vita quotidiani.

E se qualcuno ha tempo e volontà, la "ciclovia della cultura" propone per la prossima domenica una bella pedalata, tutta in pianura, lungo la ciclabile sul confine, visitando Miren, Vrtojba e Šempeter. "Andemo di là", propongono gli organizzatori riproponendo un titolo già sperimentato con successo con "Il libro delle 18.03". Ma sì, dài, andiamoci di là, ma in piedi o in bicicletta! Partenza al valico del Rafut, domenica 26 novembre, ore 10.

domenica 19 novembre 2023

L'unica strada è quella della nonviolenza

Lo sguardo materno è stato impresso nella pietra candida di Aurisina da Edmondo Furlan nel 1917. Il monumento si trova nel cimitero di guerra di Aquileia e l'immagine sembra voler portare sotto uno sguardo di consolazione e misericordia tutto il dolore del mondo.

La violenza individuale si mescola con quella sistemica. Mentre tutta Italia si stringe idealmente intorno alla famiglia di Giulia Cecchettin e si interroga sul suo brutale assassinio, in molte lande del mondo si muore in massa a causa della guerra.

In Ucraina si continua a morire, nell'ormai passato in secondo piano conflitto con la Russia. Ciò che era ovvio fin dall'inizio, cioè che l'unica soluzione possibile fosse quella negoziale, ora continua a essere tale, mentre sull'altare delle rigidità di Putin e Zelen'sky e su quello degli interessi di mezzo mondo, si continua inopinatamente a combattere. Troppe giovani vite, civili e militari, sono soffiate alla storia dalla caparbietà di chi non vuole sedersi attorno a un tavolo e a discutere su tutte le risolvibilissime questioni in gioco.

In Palestina prosegue l'invasione di Gaza da parte di Israele. Tra parentesi, in nome del principio dell'inviolabilità delle frontiere degli Stati, si rischia una terza guerra mondiale per contestare l'intervento russo a difesa delle popolazioni russofone in territorio ucraino, mentre in nome della sicurezza, il medesimo principio non viene preso in considerazione, non si riconosce l'autodeterminazione della Palestina e si sostiene Israele nella sua cruenta avanzata nella martoriatissima striscia di Gaza. Migliaia di donne, uomini e bambini stanno soccombendo, uccisi dalle bombe, dalla fame e dalla mancanza di medicinali. Come voltarsi indietro davanti a questo genocidio? La condanna, senza esitazione, degli attentati di Hamas, compiuti lo scorso 7 ottobre, non può impedire un'altrettanto ferma condanna dell'intervento israeliano in Gaza. La guerra scatenata da Netanyahu ha già provocato un numero di vittime immenso e sta contribuendo a valorizzare la strategia criminale di Hamas. Se il giorno dopo gli attentati, una ventata di vicinanza era soffiata da tutto il mondo in direzione di Gerusalemme, i bombardieri israeliani, le uccisioni di massa, gli ospedali e le scuole colpiti, la cancellazione di ogni parvenza di futuro, hanno immediatamente soffocato ogni simpatia. Ovunque si manifesta contro il governo israeliano, le capitali occidentali tremano per la paura di gesti che potrebbero colpirle al cuore, si chiudono le frontiere, cresce addirittura il veleno terribile dell'antisemitismo. E nella stessa Gaza cresce un odio talmente profondo da far ipotizzare che difficilmente nel prossimo futuro si potranno depotenziare uno cento o mille Hamas.

Era questo il modo di garantire la sicurezza di Israele? O di garantire il rispetto dei diritti in Ucraina e in Russia? Certamente no, la violenza e l'uso sistematico delle armi distruttive non porteranno ad altro che a nuovi più allargate sofferenze e lutti. Gli arsenali atomici sono ancora ovunque, pronti all'uso. Non ci si può cullare nel pensiero che si tratti di problemi lontani, perché tutti - nessuno escluso - siamo costantemente coinvolti. L'unica strategia alternativa al piano inclinato che sempre più velocemente sembra portare verso il baratro, non è quella della ritorsione o del massiccio riarmo. E' quella della diplomazia, del dialogo e della trattativa. E' quella della nonviolenza attiva.

L'incredibile vicenda del Messale Romano in lingua friulana

Con tutti i problemi del periodo, questo farebbe sorridere, se non toccasse la sensibilità e la dignità di un'intera comunità culturale.

Il Messale Romano destinato alla celebrazione delle Messe in lingua friulana è stato "cassato" dalla Conferenza Episcopale Italiana. La questione in sé riguarda il diritto dei fedeli cattolici di partecipare all'Eucarestia, pregando nella loro lingua materna.

La "bocciatura" è derivata dalla mancanza dei 2/3 di voti necessari all'approvazione. Qualche decina di vescovi era assente, più di cinquanta hanno votato contro e parecchi si sono astenuti.

Al di là della legittima delusione del popolo cattolico friulano, ciò che rende molto perplessi è il metodo di approvazione. Sulla base di quale competenza ed esperienza, un gruppo di vescovi possono votare l'approvazione o il rigetto di un testo che ha come obiettivo solo quello di valorizzare la lingua di un gruppo di persone che la vogliono utilizzare per pregare? Fa specie il numero di cinquanta che hanno addirittura votato contro. Perché? Con quale arzigogolata motivazione una guida della Chiesa può permettersi di dire di no a un'intera comunità, sostenuta dai vescovi locali di Udine Pordenone e Gorizia? Si capirebbe se ci fosse ancora il latino come lingua ufficiale della Chiesa universale e locale. Ma da sessanta anni, con la pubblicazione della Sacrosanctum Concilium del Vaticano II, è consentito, anzi raccomandato, l'uso delle lingue parlate. E allora? C'è una serie A e una serie B?

Insomma, nella certezza che prevalga il buon senso e che il Messale Friulano sia utilizzato senza alcun problema da chi lo desidera, sembra davvero inutile e anacronistico mettere ai voti una simile proposta. Si ringrazino invece con tutto il cuore coloro che hanno dedicato tanti anni di lavoro a realizzare un'opera straordinaria, che deve essere da subito portato in tutte le parrocchie e messo a disposizione dei sacerdoti e dei fedeli.

La preghiera e la liturgia nella lingua materna non hanno bisogno di valutazioni e approvazioni, ognuno - se lo crede importante - invochi come gli pare, Dio, se c'è, comprende sicuramente tutte le lingue del mondo. Si proceda quindi senza indugio nel cammino intrapreso, Loro Eccellenze volenti o nolenti... 

sabato 18 novembre 2023

Il dolore per Giulia

Di fronte all'assassinio di Giulia Cecchettin, si resta senza parole. Un po' è la dinamica degli avvenimenti, un'alternanza di speranze e disillusioni, un po' le incursioni mediatiche nella vita delle due persone coinvolte, un po' l'età dell'uno e dell'altra... Un po' tutto questo, di fatto in una settimana la loro tragica vicenda è entrata nelle case di tutti, lasciando nel profondo del cuore una grande amarezza.

Non c'è molto altro da dire che non sia già stato comunicato, per la 104ma volta nell'anno in corso una donna in Italia è vittima della violenza estrema dell'uomo che si sente umiliato dall'abbandono, dalla libera scelta di una persona che egli sente assurdamente come sua "proprietà". E' vero, Giulia è l'ennesima vittima di una cultura maschilista e patriarcale ancora molto, troppo radicata nella nostra società. La magistratura indagherà, non si sa che cosa è o sarà del ragazzo per ora "presunto" omicida, in questa fase non resta altro che chinare la testa di fronte all'ennesima, giovane vittima di questa crescente follia ed esprimere tutto il cordoglio possibile ai familiari, così duramente provati da questa tragedia.

Molti commentatori, nei giorni scorsi, hanno sottolineato la "normalità" delle famiglie nelle quali sono cresciuti Giulia e Filippo, la vita da "bravi ragazzi" che mai avrebbe potuto far immaginare ciò che poi è accaduto. Ecco, pur sottolineando come questa notazione non possa e non debba sminuire nemmeno di un millimetro la gravità dell'accaduto, questa conclamata "normalità" fa veramente pensare. Cosa c'è nel profondo del cuore di ogni uomo? Quali terribili mostri abitano dentro di noi, rinchiusi nei meandri del nostro inconscio, pronti a scardinare i lucchetti e a travolgere le fragili difese della nostra pretesa ragionevolezza? Quanto si è imbevuti di una pseudocultura velenosa che ci impedisce di riconoscere la sottile linea di demarcazione tra la libertà infinita dell'amore e la schiavitù opprimente dell'istinto di possesso? L'ideale del "maschio", capo della famiglia (così nel Codice Civile in Italia fino addirittura al 1975), al quale la donna deve essere "sottomessa" (così nel citatissimo, anche nei matrimoni attuali, passo della lettera di Paolo agli Efesini 5,22-33), nonostante gli aggiornamenti dello Stato e delle visioni religiose, non riesce a tramontare nell'epoca della modernità e della postmodernità, con le conseguenze drammatiche che sono sotto i nostri occhi.

E' importante che non si dia nulla per scontato, che la meditazione su questi fatti non si riduca a una mera compartecipazione al dolore delle vittime e a un'ovvia condanna dell'assassino. Occorre una grande vigilanza, esteriore, ma soprattutto interiore. E' necessario saper cogliere la misura delle proprie debolezze, ammettere la propria fragilità. Bisogna liberarsi dall'assurdo desiderio di corrispondere sempre all'immagine che gli altri si sono fatti di noi, dalla prigione del perbenismo nella quale spesso ci si rinchiude per sfuggire alla bellezza e alla responsabilità del vivere. Sì, occorre il coraggio di essere veramente liberi, anche nell'affrontare le inevitabili sconfitte quotidiane. E' giusto che cambino le leggi, che si impostino efficaci cammini educativi a cominciare dalle scuole, che le filosofie e le religioni adeguino i loro insegnamenti alla situazione attuale. Ma è tanto e altrettanto importante che ogni persona, in particolare ogni maschio, si assuma la responsabilità della sua vita, faccia lo sforzo di conoscersi a fondo, anche lasciandosi aiutare, non lasci che i mostri continuino ad abitare il suo inconscio e non abbia come fine la rispettabilità, bensì l'autentica umanità. Altrimenti, quanti "bravi ragazzi" diventeranno ancora, da un giorno all'altro, dei terribili criminali? 

Nel 2025, un'esposizione "dal preromano al postmoderno"?

Il campanile di Aquileia, nella nebbia
Si parla molto di una "mostra clou" della Capitale europea della Cultura 2025. Sembra che sia dedicata al "Tesoro di Aquileia", intendendo con ciò l'esposizione dei reperti sacri custoditi nelle casseforti dell'Arcivescovado di Gorizia. Almeno, questo è ciò che era stato programmato negli anni precedenti il Covid, quindi anche la prestigiosa "nomination" europea, immaginando le sedi espositive di Palazzo Meizlik ad Aquileia, di Santa Chiara a Gorizia e di Kostanjevica.

Nel contesto attuale, con lo sguardo di un Continente rivolto al territorio Goriziano, l'idea non può che essere rivisitata in termini essenzialmente culturali, con un generale allargamento di visione che possa consentire ai visitatori - ma anche ai residenti - l'approfondimento dei motivi che hanno giustificato la scelta transnazionale effettuata per la prima volta dall'Europa.

Per questo sarebbe necessario percorrere un tempo che va "dal preromano al postmoderno", coinvolgendo le già più che disponibili realtà culturali del territorio. Lo splendido Museo Archeologico Nazionale di Aquileia potrebbe raccontare l'intreccio tra spiritualità e arte nel periodo precedente e seguente la colonizzazione romana del II secolo a.C. Il Paleocristiano di Monastero offrirebbe uno spaccato sulla vita quotidiana dei cristiani del IV secolo, nello spettacolare contesto del sito Unesco, con le zone archeologiche e i mosaici teodoriani della Basilica. Il Palazzo Meizlik, sempre ad Aquileia, potrebbe ospitare i reperti che riguardano la storia del Patriarcato, dalle origini al 1751, mentre Santa Chiara a Gorizia e Kostanjevica potrebbero ospitare le memorie documentarie delle Arcidiocesi di Gorizia e di Udine. La Sinagoga e il cimitero ebraico di Rožna dolina potrebbero raccontare la vicenda dell'ebraismo goriziano, mentre la chiesa metodista di Via Diaz offrirebbe la testimonianza della duplice fase di proposta dell'evangelismo protestante, nel XVI secolo con la predicazione di Primož Trubar e nel XIX con l'iniziativa degli industriali Ritter. Il castello di Miramare potrebbe essere il prestigioso richiamo all'epopea degli Asburgo, fondamentale punto di vista per comprendere le specificità internazionali della zona. Il Goriški Muzej, nelle sue varie sedi, potrebbe narrare la storia dell'insediamento degli sloveni nella terra che dalla "sclavorum lingua" ha preso il nome di "Goriza" (documento di Ottone III al Patriarca Giovanni nel 1001), ma anche sottolineare la fondamentale esperienza del Novecento Goriziano, con le ingiustizie e le tragedie, ma anche con le rinascite, le opere d'arte, i luoghi che hanno visto la transizione da campo di battaglia a capitale europea della cultura, le persone che hanno contribuito all'abbattimento dei muri, i vari Basaglia, Ravnikar, Mušič, Tone Kralj e tantissimi altri. Il santuario di Sveta Gora potrebbe esporre le tante e meravigliose testimonianze artistiche della religiosità popolare, senya dimenticare l'epopea degli "Staroverci", i vecchi credenti vissuti nella semi clandestinità nelle valli dell'Isonzo e del Vipacco.

Ecco, così, solo per dire che sarebbe davvero interessante un'unica mostra su diverse sedi, incentrata non soltanto sul peraltro importante periodo patriarcale, ma sulla celebrazione generale di una Storia drammatica e affascinante che appartiene a ciascuna e ciascun abitante di questa variopinta, multiforme, plurale congerie di popoli e culture. 

giovedì 16 novembre 2023

"Critical zone" del regista iraniano Ali Ahmadzade

 

Quando sentiamo la parola "Iran", pensiamo ordinariamente ai diritti umani, al velo delle donne, alla guerra decennale con l'Iraq e così via.

Il film Critical zone, del regista iraniano Ali Ahmadzade, fa piazza pulita di qualsiasi stereotipo e conduce lo spettatore nel cuore di una totalmente sorprendente Teheran notturna.

"Conduce" è il verbo più adatto perché Amir, il protagonista, è quasi sempre  seduto nella sua sgangherata autovettura e segue strada dopo strada le indicazioni quasi ultraterrene della voce metallica di google maps. Quando non guida o no gironzola per la grande città, sta a casa dove condivide la vita con un simpatico e affettuoso cane.

Cosa fa Amir? E' un piccolo spacciatore di droga, incontra clienti di ogni sorta e non ci guadagna granché, perché la maggior parte delle sue azioni sono rivolte a fornire un aiuto materiale e per così dire, anche spirituale. A uno offre un passaggio conducendolo dalla parte opposta della metropoli, a un'operatrice sociale chiede di poter collaborare nell'alleviare il dolore delle persone. Riempie la sua solitudine trascinando fuori dalla strada una donna che lo guarda con ammirazione, giunge perfino a risollevare, con azioni e parole da santone o da prete, un ragazzo devastato dalle sostanze. Non riesce a risuscitarlo dall'apatia, ma consola la madre affranta che lo ringrazia con gli occhi colmi di lacrime di commozione.

Riceve la droga da un'hostess con la quale "viaggia" a velocità supersonica, in una strepitosa scena che nello stesso istante coinvolge e sconvolge.

Amir non è un modello morale, tutt'altro, ma è un uomo che dimostra come la bontà non si accompagni necessariamente all'eticità e - come in una trama di Dostoevskij o di Graham Green - permette di scoprire gli angeli della risurrezione nei bassifondi più oscuri di un'umanità dimenticata. Il racconto di Ahmadzade non è una denuncia politica né la presentazione di un modello da seguire. E' una parabola simile a quella del buon samaritano, là dove i sacerdoti e i leviti del capitalismo passano oltre alla sofferenza umana senza neppure accorgersene e lo "straniero" si china a curare le ferite di colui che "è stato malmenato dai briganti".

Come ogni parabola, non ci si deve cercare un suggerimento su cosa fare nella vita, ma scoprire l'"allegoria", cioè ciò che va al di là dell'eticamente corretto e del perbenismo di facciata per scoprire cosa c'è nella sfera più profonda del cuore dell'uomo, come pure degli inferi degli ampi viali e dei vicoli oscuri di una città affascinante e inquietante come è l'immensa Teheran. 

Insomma, se avete occasione, non perdete Critical zone, di Ali Ahmadzade.

venerdì 10 novembre 2023

Quando finisce la Politica, inizia la guerra

La sensazione, forse anche la tentazione più prossima nel momento attuale è quella dell'impotenza. Forse è sempre stato così, ma raramente è stata così netta la percezione di un tracollo della Politica, intesa come capacità autenticamente umana di affrontare e risolvere insieme i problemi della Società.

Ci sono tanti conflitti nel mondo che, al di fuori della povera gente che li subisce, per dirla poco elegantemente, non fregano niente a nessuno. Donne, uomini, bambini massacrati nel Sudan "contano" nulla rispetto agli stessi che subiscono la stessa sorte in altre zone del Pianeta dove gli scontri tra le grandi potenze sono portati sotto la lente di ingrandimento mediatica.

Anche in questi casi, è difficile non essere almeno vagamente complottisti. Come pensare che una guerra come quella tra Russia e Ucraina possa continuare, con centinaia di migliaia di vittime e devastazioni di ogni tipo, quando la situazione, dopo oltre un anno e mezzo, è esattamente quella dell'inizio? Come pensare che non ci siano interessi macroscopici che spingono gli USA e l'Unione Europea a inviare ancora sostegni e armi, trascurando qualsiasi sforzo diplomatico sostenibile per raggiungere un accordo che avrebbe dovuto essere siglato all'indomani dell'inizio dei combattimenti?

E come non restare profondamente feriti dall'invasione di Gaza da parte dell'esercito israeliano, passata come reazione agli sconvolgenti atti terroristici di Hamas, in realtà vero e proprio tentativo di risolvere la questione palestinese una volta per tutte? Come non pensare alle conseguenze di una generale destabilizzazione del Medio Oriente, della diffusione dell'insicurezza in un'Europa che non trova di meglio che trincerarsi nelle sue frontiere, della crescita di un totalmente ingiustificabile e molto pericoloso antisemitismo che fa di ogni erba un fascio identificando ebraismo e politiche di Israele (cioè, tra l'altro, esattamente gli obiettivi di Hamas)?

In tutto questo, che cosa si può fare? Sì, cosa può fare il singolo individuo, ma anche la comunità alla quale appartiene?

Sembra che l'unica parola in grado di suscitare qualche riflessione etica sia quella di Papa Francesco. E' encomiabile la sua costante presenza, con la parola e con l'azione diplomatica, relativa ai luoghi dove maggiore è la sofferenza provocata dalla guerra. Ma l'esortazione etica non è sufficiente, forse può scuotere gli animi e suscitare significative testimonianze di costruzione di giustizia e pace nei piccoli ambiti. 

Ma è necessario un soprassalto della vera Politica, anche quella italiana. Invece di riempire la testa dei teledipendenti con interminabili discussioni nelle quali si discute di decine di migliaia di morti come se si commentasse il risultato del derby calcistico di Milano (e viceversa!), non sarebbe fondamentale che i partiti e i loro rappresentanti elaborassero serie proposte alternative all'odio e alla violenza? Pensassero cioè a un sistema alternativo a quello che produce un costante e grave innalzamento della tensione, che potrebbe portare con sé esisti catastrofici?

La fine delle ideologie ha comportato la riduzione dello spazio politico a semplice ricerca e gestione del Potere, spesso svincolate da qualsiasi riferimento etico e valoriale. Ciò vale per tutti i partiti, in particolare oggi per il Partito Democratico. E' un pachiderma che porta dentro di sé una miriade di istanze molto spesso contradditorie, dove il tentativo di Elly Schlein e compagni rischia di naufragare proprio per la difficoltà di riportare al centro le idee in una realtà da almeno un decennio impantanata nella necessità di salvare capra e cavoli, perdendo oggi sia questa che quelli.

Forse la strada per portare una ventata di novità in Italia non era quella di immaginare la rivitalizzazione di un organismo ormai appesantito dalla sua stessa breve storia, ma quella di fondare un partito di sinistra, transnazionale, con uno sguardo europeo e planetario, radicato nella tradizione filosofica e strategica avviata dal pensiero comunitario del cristianesimo delle origini, come anche dalla riflessione marxista originaria, corretta e riformata alla luce dei tragici avvenimenti del XX secolo. Un'impresa del genere implica tempo ed energie, grande convinzione e creatività, capacità di dialogo e di relazione a tutti i livelli. Tuttavia darebbe l'impressione di non restare ancorati al triste "salvare il salvabile", ma di poter ancora contare qualcosa nelle decisioni che determinano il futuro del mondo e dei suoi abitanti.

Non è facile, tanti ci hanno provato senza riuscirci. Ci sono stati molte prove di riunificazione della Sinistra, c'è stato il movimento di Varoufakis Diem25, ci sono state azioni di base incentrate sul pacifismo e sui cambiamenti climatici. Ma nulla ha dato l'impressione di decollare veramente. Siamo in tempo per provarci ancora?

sabato 4 novembre 2023

Dov'è la Vittoria?

 

Il 4 novembre è un giorno di memoria. L'Italia ricorda la "Giornata dell'Unità nazionale e delle Forze Armate", con uno strano accostamento che sembra voler attribuire alle Forze Armate un ruolo decisivo per ciò che concerne la realizzazione dell'unità della Nazione.

Qualche decennio fa era la "Giornata della Vittoria" e il riferimento era alla fine della prima guerra mondiale e all'arrivo dei soldati italiani a Trieste. Per fortuna gli storici hanno sistemato la retorica e hanno dimostrato quanto sconfitte abbia in realtà generato quell'effimera vittoria.

Si parla di quella che papa Benedetto XV definì "orrenda carneficina" e "inutile strage". La guerra nel complesso ha provocato la morte di oltre 15 milioni di persone, metà militari e metà civili, senza contare i mutilati e i feriti, senza aggiungere gli altri milioni di esseri umani uccisi dalla febbre spagnola, diretta conseguenza degli stenti e della miseria derivate dal conflitto. La prima guerra mondiale ha sconquassato anche gli equilibri politici ed economici del mondo intero, provocando insieme alla fine dei grandi Imperi lo squilibrio politico dal quale germoglieranno i semi venefici del fascismo e del nazismo, le premesse cioè dell'ancor più devastante seconda guerra mondiale.

Quindi, non c'è proprio niente da festeggiare, soprattutto in un periodo in cui la forza delle armi sembra prevalere su quella della ragione e tante nuove battaglie seminano sangue e distruzione in Ucraina, in Palestina, in Sudan e in tanti altri angoli del Pianeta. Ricorrenze come quella odierna dovrebbero allertare chiunque e aiutare ogni persona a formulare pensieri di pace, diplomazia, diritto particolare e universale. Milioni di giovani cancellati dalla Vita dovrebbero esser un monito a una nuova stagione di generale disarmo, di costruzione di arbitrati internazionali efficienti, come del resto prospettato nel lontano 1917 dallo stesso Benedetto XV, unico pontefice ad aver auspicato la distruzione di tutti gli arsenali militari presenti nel mondo, e perfino dal presidente degli Stati Uniti Wilson, nei suoi "punti", condizioni per la sopravvivenza dell'intera umanità.

Per questo la "Giornata" del 4 novembre dovrebbe essere dedicata alla memoria di tutti i morti assassinati in tutte le guerre. E sarebbe necessario che protagonisti siano i veri fondatori dell'unità dell'Italia e dell'Europa, cioè i costruttori di Pace. Bisognerebbe ricordare prima di tutto coloro che hanno rischiato e spesso perso la vita per sostenere le popolazioni provate dagli stenti connessi alla guerra. Si dovrebbe dedicare un pensiero grato ai disertori, a quelli che hanno preferito morire, falciati senza pietà dai carabinieri, piuttosto che uccidere altri soldati "con lo stesso identico umore ma con la divisa di un altro colore". Sarebbe importante ricordare le estreme sofferenza dei civili, che hanno dovuto subire le scelte infauste di politici incoscienti e quelle conseguenti dei generali che si sono succeduti al comando delle forze armate.

Davanti ai milioni e milioni di uccisi, sarebbe ben più giusto promuovere la riflessione e l'educazione alla nonviolenza attiva, unica reale alternativa al perpetuarsi nella storia del flagello non naturale ma artificiale della guerra. Ci si trova invece mestamente a dover contemplare amaramente una guerra assurda come quella che si sta svolgendo in Ucraina, là dove l'incaponimento dell'UE e degli USA continua ad alimentare l'uso delle armi che seminano catastrofi senza senso, invece che promuovere quelle trattative che in ogni caso saranno l'unico esito possibile del conflitto: un anno e mezzo di stragi per essere sempre praticamente al punto di partenza! E ci si trova a prendere atto della sorprendente condivisione di tanti "occidentali" con una vendetta sanguinosa e crudele come quella che Israele sta portando avanti a Gaza, disseminando di cadaveri e di macerie la strada sempre più impraticabile di un accordo in grado di garantire a tutti i contendenti libertà, giustizia e concordia. La violenza estrema di Israele sta di fatto favorendo il raggiungimento degli obiettivi del gesto criminale di Hamas, cioè la destabilizzazione del Medio Oriente, l'accordo tacito o espresso dei Paesi arabi, l'insicurezza che ha portato perfino al ripristino dei confini in Europa, il compattamento dell'opinione pubblica di base, sconcertata dopo gli attentati del 7 ottobre e ora schierata dalla parte delle migliaia di vittime inermi di quella che altro non sembra essere che una rappresaglia non contro Hamas ma contro l'intera Gaza.

Ecco allora, dov'è la Vittoria? L'unica Vittoria (con la V maiuscola) sarà quella della Nonviolenza e i veri eroi saranno i suoi testimoni, profeti e martiri. Il ricordo della carneficina che è stata la prima guerra mondiale diventi la Giornata di valorizzazione e della promozione dei corpi civili di pace, degli studi diplomatici e dei costruttori di relazioni improntate alla giustizia nella verità.

giovedì 2 novembre 2023

Non è ver che sia la morte, il peggior di tutti i mali...

 

La Natura accompagna in modo particolare in quest'anno la commemorazione dei defunti. E' il 2 novembre, il periodo è quello. Le foglie cadono dagli alberi, il buio incombe sui programmi quotidiani, il vento caldo non può che suscitare presagi infausti, il freddo intenso è alle porte, attende il passaggio della perturbazione per farsi sentire.

Le genti vissute nell'emisfero nord hanno dato sempre un particolare significato a questi giorni. Per gli antichi, era tempo di ricordo di coloro che avevano già superato l'autunno della vita ed erano passati dall'altra parte. i cristiani hanno santificato i defunti, congiungendo indissolubilmente il concetto dell'al di là con quello dell'appartenenza alla comunità dei salvati. I postmoderni hanno storpiato, per così dire "all'americana", così "Tutti i santi" sono diventati Halloween. Si è sempre festeggiato, con i riti, con le azioni in famiglia, con i ricordi mesti e gioiosi, perfino con gli alimenti, dalle ossa di morto sintetizzate nelle dolci favette ai cibi tipici della stagione. 

In fondo, dietro a tutto questo, c'è l'ombra oscura della morte. Ognuno tenta in qualche modo di esorcizzarla. Ci si può ridere sopra, mimarla con spavalderia, neutralizzarla con la forza delle liturgie, addolcirla con i sapori dei cibi e con i profumi dei fiori. C'è anche chi, Damian Hirst nell'opera "For the Love of God" (2007), ha utilizzato un teschio e lo ha ricoperto di 8000 diamanti che generano infiniti arcobaleni di luce, ben sapendo di non riuscire, neppure in questo modo, a stemperare nell'arte l'orrore della fine. Ma al fondo resta la domanda delle domande. Chi ero io prima di essere concepito? Che cosa sarà di me dopo la mia morte? 

Sono interrogativi ingenui, eppure tutti ce li poniamo. Sono ingenui, perché la nostra coscienza è dominata dalla ragione e la ragione non può travalicare i propri limiti, ovvero le categorie dello spazio e del tempo. Ci possono essere di aiuto la fede e la speranza, ci può consolare il mistero dell'Amore, ma niente può spiegare che cosa ci sia al di là di quel passaggio misterioso, di quel muro altissimo, di quel con-fine "che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude". Si può constatare, scientificamente, che effettivamente "nulla si crea nulla si distrugge e tutto si trasforma" ed è perfino possibile, con una certa angoscia, scoprire in cosa si trasformi. Ma che cosa ne sia della coscienza di esserci, che cosa comporti questo ultimo salto nel buio del nulla, questo nessuno lo ha mai potuto dire o comunque nessuno che abbia compiuto questo balzo sembra sia tornato indietro per raccontarlo.

Lo stesso inaudito annuncio cristiano della Risurrezione non è una risposta razionale al perché o al cosa della morte. E' evidente in ogni racconto evangelico la distanza infinita tra la presenza precedente e quella seguente l'evento della prima Pasqua. Non si dice che cosa sia accaduto, si interpella la fede, ovvero un dimensione di conoscenza totalmente differente rispetto a quella della ragione. Non solo, del tutto diversa anche da quella della religione, intesa proprio come sistema razionale di miti, riti e regole morali determinate sempre ed essenzialmente dalla ragione.

Si può allora sperare? Si può credere in un destino buono che attende ogni vivente in quello che la tradizione cristiana ha definito "l'ultimo giorno"? Certo che si può, a condizione che non lo si sperimenti come un soluzione consolatoria all'impossibile quesito, ma come richiamo alla dimensione altra, talmente altra rispetto a quella razionale da rendere improbabile, se non addirittura potenzialmente distruttiva, un'effettiva relazione. E' la condizione di una gioia ed è la percezione di una Bellezza, che Agostino definiva "tanto antica e tanto nuova" e che sfugge a ogni possibile comprensione, una sorta di concetto kantiano del "sublime" o di concezione irriducibile del "sacro"

In altre parole, per "salvare" la fede nella "Vita eterna" occorre "rinunciare" all'atto della ragione, riservando quest'ultimo alle vicende della storia, generale e quotidiana, dove appunto il successo e la rovina dell'essere non dipendono da un'imperscrutabile Provvidenza, ma soltanto dalla libera scelta di ogni essere umano oppure dalla struttura fisica e chimica di un Universo totalmente indifferente nei confronti di ogni suo minuscolo e radicalmente solitario frammento.