Oggi parlo di Aiello, il Comune del quale sono Sindaco.
E una volta tanto parlo in prima persona, quasi come in una lettera aperta e non in un semplice post su un blog.
Sono molto colpito dalla straordinaria vitalità degli abitanti di Aiello e della frazione Joannis. in questi giorni è in corso una vera e propria gara di disponibilità. Naturalmente anzitutto si constata un forte impegno a ottemperare alle restrizioni previste dai vari decreti e ordinanze che si sono succeduti, chi rimanendo a casa e chi dedicandosi ai lavori necessari alla sopravvivenza di tutti. Molti lavorano negli ospedali, in prima linea e le due Case di Riposo vedono gli operatori prodigarsi non solo come custodi ma anche come veri e propri sostituti dei familiari, in quanto gli ambienti sono per ovvi motivi preclusi alle visite. C'è chi si fa in quattro per i familiari più anziani o per i vicini di casa in difficoltà, chi perlustra i paesi per consegnare le mascherine regionali, chi vorrebbe organizzare un Banco Alimentare per le persone che hanno perso lavoro e reddito, chi impiega il proprio tempo aiutando i più piccoli a gestire le non ancora assimilate procedure della didattica a distanza. Anche gli amici ospiti del locale Sprar chiedono quotidianamente di essere impiegati nel dedicarsi alla gente del paese che è diventato in questi ultimi anni la loro dimora.
Insomma, tutti vorrebbero dedicarsi ad aiutare gli altri, anche coloro che teoricamente dovrebbero essere destinatari del sostegno, in particolare gli anziani che si dimostrano molto pazienti, sopportando i disagi con il sorriso sulla bocca e con la serenità dentro il cuore. Io non credo che solo il Comune di Aiello sia in queste condizioni, anche quelli vicini raccontano più o meno le stesse storie.
Tutto ciò non nasce dal nulla, il welfare di comunità e le intuizioni sulla cittadinanza terapeutica del grande Basaglia sono da anni di casa da queste parti, grazie soprattutto ai rapporti costruttivi tra azienda sanitaria, realtà amministrative, privato sociale e cooperative: tutti sono responsabili di tutto e il soggetto più debole insegna agli altri il valore delle relazioni interpersonali. Qui è nata l'intuizione dell'"infermiere di comunità" e qui si è sviluppata l'esperienza della fattoria sociale del Novacco, modello di convivenza e di fraternità. Questo modo di vivere il presente, proiettati al servizio degli altri e di guardare al futuro, attendendo la liberazione dagli impedimenti, potrebbe rendere di sicuro meno restrittive le norme per la sicurezza. Una comunità solidale non necessita di regole ferree, chi la vive dovrebbe avere la possibilità di muoversi un po' di più, di camminare sui viottoli dei bei campi solitari, di vedere consentite almeno alcune uscite quanto mai necessarie - con tutte le prudenze possibili - per evitare che questo tempo di privazione sia inteso come un tempo di reclusione.
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