E' logicamente giusto - e lo sa anche chi incoscientemente cavalca l'argomento per mera propaganda partitica - che non si celebrino le liturgie nelle chiese durante le festività pasquali. Ma il segnale "obbligato" forse può essere interpretato anche come un segno dei tempi e l'occasione per ritornare al più esplicito e nel contempo disatteso degli insegnamenti evangelici: l'eliminazione delle barriere fra persone, spazi e tempi sacri e profani.
Alla Samaritana che gli chiedeva se il luogo della preghiera fosse Gerusalemme o il monte Garizim, Gesù aveva risposto: "Nè da una parte né dall'altra. E' venuto il tempo in cui i veri adoratori, adoreranno Dio in spirito e verità." (cfr. Gv.4,21-23)
Ci sono voluti due millenni e un coronavirus perché questa affermazione del Maestro fosse presa in considerazione dai rappresentanti di quella Chiesa se-dicente "cattolica" che lungo tutto questo tempo ha preteso di esserne l'unica interprete autorizzata.
Per la prima volta nella storia del cattolicesimo il magistero afferma che i sacramenti sono soltanto dei simboli e che a decretarne la validità non è la forma bensì il desiderio. Non soltanto si può, ma si deve celebrare la Pasqua senza frequentare le chiese e senza partecipare a riti collettivi. Si può vivere una piena immersione nella relazione con il crocifisso risorto, aiutati dalle riflessioni portate nelle case dai media, ma soprattutto "in spirito e verità".
Al credente e al non credente che vive con intensità la sua fede o il suo ateismo (c'è poi tanta differenza?) appaiono imbarazzanti e insipienti gli sforzi di alcuni politici che ritengono la fede cristiana una specie di soprammobile da ostentare per riscuotere qualche voto in più. Di fronte a un Papa che cammina solo sotto la pioggia nel cuore di una piazza completamente vuota e al nuovo incontro con il trascendente che avviene nell'intimo del proprio cuore, invocare la possibilità di svolgere processioni non è soltanto pericoloso, ma anche ridicolo e improvvisamente anacronistico.
E' uno storico, inatteso ritorno alle origini, a quel colloquio tra una donna e Gesù presso il pozzo di Sichem, alla fede da vivere "in spirito e verità".
E' l'inizio della fine per la bimillenaria pretesa clericale di tenere sotto controllo la forza dello Spirito? E' l'inizio di una vera "cattolicità", consapevolezza dell'abbraccio universale e misericordioso del Mistero con tanti nomi e senza nome, a ogni essere umano, anzi a ogni essere vivente nell'Universo intero? E' la fine del Potere sulle coscienze di alcuni se-dicenti "donatori del sacro" (sacer-dotes) o costruttori di ponti tra l'umano e il divino (ponti-fices)? E' l'inizio di una rivoluzione delle coscienze, ritornate finalmente capaci di discernere liberamente il bene dal male?
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