Buon primo maggio, anche se quest'anno viene celebrato in modo del tutto diverso. Non ci sono cortei, non sono previsti concerti, non ci sono discorsi ufficiali e raduni di popolo.
E' un motivo di tristezza, a differenza di molte altre ricorrenze civili e religiose, non è mai venuta meno la consapevolezza della sua importanza, è sempre stato un appuntamento atteso con speranza e passione.
Ma è anche un'occasione per uscire dalla retorica di tante parole al vento. L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. L'Italia? Non solo l'Italia ma tutto il mondo dovrebbe essere "fondato sul lavoro". Gianni De Luca, indimenticabile procuratore della Corte dei Conti del F-VG, diceva che tale espressione sottolinea che non ci si può sentire veramente "italiani" se non si contribuisce alla fondazione della repubblica attraverso la propria azione, qualunque essa sia, anche scrivere poesie quando non si può fare altro che battere le ciglia.
Sì, ma quel lavoro "fonda" l'esserci della libertà in Italia e nel mondo? E' fin troppo facile e tragico ricordare lo slogan nazista secondo il quale "il lavoro rende liberi". Purtroppo quelle terribili parole, incise sul cancello d'entrata dei campi di sterminio, non sono un orribile ricordo del periodo più oscuro della Storia. Mezzo miliardo di esseri umani vive in condizioni di schiavitù, gran parte di essi riesce a malapena a procurarsi un pezzo di pane per sopravvivere, l'incredibile sfruttamento dei più poveri è fenomeno che si riscontra anche nei paesi più industrializzati. Anche in Italia, chi si riempie la bocca di "chiusura di porti" e di rifiuto dell'accoglienza dei poveri che fuggono da fame e guerra, chi li rinchiude in campi di concentramento dove rischiano più di ogni altro di essere colpiti dalle malattie se non dalla violenza, tollera che centinaia di migliaia di persone si spezzino la schiena nei campi o nelle case ricevendo in cambio soltanto insulti, percosse e salari rigorosamente in nero, sotto la soglia della povertà. No, il lavoro senza giustizia non rende affatto liberi, crea la schiavitù e porta alla morte le persone e le società.
Quindi, l'ordinarietà non si chiama purtroppo dignità e sicurezza sul lavoro, ma sfruttamento, corruzione, evasione fiscale dei ricchi e mancanza di ogni tutela per i più poveri.
E adesso? Adesso anche chi finora in qualche modo ha sbarcato il lunario, rischia molto. Due mesi di inattività non mettono in ginocchio le multinazionali e i padroni del vapore - non a caso in questo tempo difficile per la maggior parte, le Borse volano e come in ogni crisi c'è un'altra piccola parte che guadagna tutto ciò che gli altri perdono -, ma schiacciano le piccole industrie, con gli operai non difesi da nessun sindacato, le aziende cosiddette minori, gli esercizi per la ristorazione, punti di riferimento importanti per i quartieri di città e le comunità di paese.
Come rialzarsi, a fronte anche di scelte politiche confuse, sempre più complesse e penalizzanti, annegate dentro interminabili discussioni tra assertori acritici del potere di turno e contestatori "a prescindere" interessati soltanto a sedersi sugli scranni occupati dagli avversari?
Forse questo Primo Maggio in sordina invita a una riflessione scomoda, per certi versi scandalosa, ma non facilmente confutabile. Per salvaguardare il diritto alla salute i governi hanno di fatto conculcato il diritto al lavoro (non solo quello italiano, anche se in casa si è assistito a una sequela incredibile di errori, a partire dall'impossibilità di capire il titolo V della Costituzione e dal conseguente venefico scontro tra centralismo e del federalismo). Ora, anche a fronte di dati statistici più sicuri e meno allarmanti rispetto ai mesi scorsi, forse diventa necessario salvaguardare il diritto al lavoro indebolendo anche, se necessario, il timore di nuocere al diritto alla salute. L'assetto "meglio schiavi che morti" incrementa la schiavitù e porta inevitabilmente alla morte, se non per malattia, per fame.
A questo punto non resta che invitare a un soprassalto di coraggio, non si può vivere reclusi per sempre. Sembra che il 20 gennaio il governo - probabilmente anche le regioni, soprattutto quelle poi più gravemente colpite - avesse già predisposto il piano seguito successivamente. In questo caso, "per non creare il panico", avrebbe taciuto e consentito assembramenti enormi nel mese di febbraio, con le conseguenze che tutti sappiamo (Lavoro in fabbriche stipate di operai, festival di Sanremo, partite di calcio nazionali e internazionali, sport e sci, aperitivi e pranzi offerti da sindaci "contro il coronavirus", splendidi carnevali tradizionali, bagni di folla del Papa a Bari e altrove, visite senza limitazioni agli ospedali e alle case di riposo...). Il 10 aprile (due mesi e mezzo dopo) il governo sembra accorgersi del fatto che non sia stata conculcata solo la libertà di movimento ma anche quella di azione e costituisce il gruppo di studio di "esperti" per portarci verso quella "fase 2" nella quale si trovano quasi tutti gli altri Paesi europei. No, Conte prolunga al 18 maggio - e poi? - la clausura e lo stato di blocco di molte attività gettando nello sconforto milioni di persone, la stragrande maggioranza delle quali non invoca la possibilità di raggiungere la più vicina sala giochi o la spiaggia per distendersi sotto il sole, ma di esercitare quel diritto senza il quale l'Italia non è più una repubblica democratica, in quanto non più "fondata sul lavoro".
Avanti uniti dunque, seppur idealmente e virtualmente in questo primo maggio pandemico, perché venga abolita la schiavitù, perché ognuno possa portare il proprio contributo all'edificazione della società, possa ricevere ciò di cui ha bisogno e avere il tempo per pensare, per gioire della bellezza della vita, per esprimere con creatività arte e cultura.
Schiavi o morti: a questo ci siamo ridotti? E questo è niente rispetto a quando, tra pochi anni, miliardi di persone rimarranno senza occupazione per la crescente automazione ... a seconda dei punti di vista e a seconda della piega che prenderanno le cose, potremo prospettare per il futuro un insostenibile surplus demografico o miliardi di menti libere di impiegare tempo e risorse nella crescita delle arti, nello sviluppo di nuove idee e soluzioni necessarie per un futuro che sarà sempre più complesso. Da qui ripensare il lavoro non in senso competitivo ma come onesto contributo al bene comune. Questo potrebbe aprire la strada per riconoscere l'uomo patrimonio dell'umanità.
RispondiEliminaYes :-)
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