lunedì 28 aprile 2025

Roma senza Papa...

Per la Chiesa cattolica, il periodo della “vacanza” è quello che intercorre fra la morte o dimissione di un vescovo di Roma e l’elezione del successore. E’ un momento molto particolare, nel quale si rincorrono le voci e impazza il totopapa. Difficile è esimersi dal commentare e dal provare qualche tentativo di analisi, a livello più giornalistico che di approfondimento della fede.

Una volta terminate le solenni esequie, si comincia anche ad affrontare un’analisi meno immediatamente coinvolta delle azioni e delle parole dello scomparso, anche per cogliere gli elementi essenziali dell’eredità affidata a colui che ne prenderà il posto. L’entusiasmo quasi unanime che ha accompagnato la morte e i funerali di Francesco è la cifra dalla quale partire per comprendere meglio ciò che in quest’ultimo decennio è accaduto.

Dai media sono scaturiti fiumi di espressioni colme di retorica, dal papa degli umili a quello degli ultimi, da quello della gioia a quello della pace. Ma quanto ha inciso veramente il suo magistero, nel mondo e nella Chiesa?

Sicuramente è stato più amato fuori dalle cerchie ecclesiastiche che al loro interno. Aiutato da un sostegno mediatico “laico” superiore a quello riservato a qualsiasi altro predecessore, ha sicuramente potuto sottolineare con forza alcuni gangli vitali del mondo contemporaneo. Ha parlato di pace e di trattativa come ineliminabile strumento per risolvere la guerra in Ucraina, anche se dal punto di vista pratico i suoi sforzi – mediati dalle infruttuose missioni del cardinale Zuppi – non hanno ottenuto nemmeno l’appoggio dei cattolici ucraini. Ha denunciato con chiarezza il “crimine” e il “terrorismo” degli attacchi israeliani contro la Striscia di Gaza, arrivando vicino a pronunciare la parola “genocidio”. Non si è mai stancato di parlare a favore dei migranti e all’obbligo dell’accoglienza e dell’assistenza, anche in questo caso ottenendo giustamente grande simpatia da parte di chi fa salti mortali per salvare le vite nel Mediterraneo e nei Balcani. Ma anche in questo caso non ha ricevuto in cambio altro che imbarazzate ma quasi amichevoli pacche sulle spalle da sindaci e governanti nazionali e internazionali, pronti a saltare sul suo carro prima ancora della sepoltura. Si è pronunciato molto sulla necessità che gli Stati garantiscano i fondamentali diritti alla vita, alla libertà e alla giustizia sociale, proponendo un alto magistero, forse un po’ indebolito dal suo essere, al pari dei suoi collocutori, un Capo di Stato. E di uno Stato assai importante, crocevia di problematiche economiche, politiche e culturali tutt’altro che trascendenti. Hanno destato molta attenzione le sue encicliche, prime fra tutte la Laudato sii e Fratelli tutti, piene di forti raccomandazioni riservate alla custodia del creato e alla fraternità e sororità universali. Anche in questo caso, le sue proposte hanno suscitato molto più consenso che dissenso, senza che per questo divenissero spunto di studio a livello accademico internazionale, orientamento scientifico sul quale improntare le scelte planetarie dei prossimi decenni e secoli. La reiterata denuncia dei produttori e dei venditori di armi – convenzionali e di distruzione di massa - non è arrivata fino al punto di chiedere la distruzione di tutti gli arsenali esistenti e la riforma degli statuti delle Nazioni Unite. E forse per questo in piazza san Pietro l’altro giorno c’erano molti rappresentanti di tante Nazioni, iperintrallazzate proprio con gli interessi legati al commercio degli strumenti di morte. Molto apprezzato è stato anche l’interesse attivo e costruttivo nei confronti dei più deboli della terra, anche questo tuttavia accompagnato dalla difficoltà di trasformare una Chiesa cattolica straricca, proprietaria di beni mobili e immobili giganteschi, in quella che Francesco avrebbe voluto come “Chiesa povera tra i poveri”. In sintesi, le parole programmatiche pronunciate sull’aereo, al ritorno da uno dei tanti viaggi intercontinentali e riferite a tutt’altro contesto, possono rilevare la forza e la debolezza di questo pontificato, dal punto di vista della politica estera: “voglio una chiesa senza banca vaticana”? Il che vuole dire affascinante e simpatetico nuovo modo di guardare a un mondo post e ultramoderno in evidente difficoltà, ma anche potrebbe voler rilevare l’impotenza nel voler affrontare e superare le dinamiche più complesse.

E qui si entra nel secondo capitolo, quello relativo alla partecipazione interna alla vita della Chiesa cattolica. Anche se ora quasi tutti osannanti, molti sono coloro che negli ultimi anni hanno espresso dubbi sulla conduzione “ecclesiastica” di papa Francesco. C’è stata un crescente critica tradizionalista, da destra, relativa più agli atteggiamenti che alle deliberazioni della santa sede. Si è rilevato come la semplicità estrema dei gesti simbolici papali – dalla famosa valigetta portata in aereo senza portaborse alle utilitarie (pur scortate da cortei di auto blu) – abbia messo in pericolo il concetto di sovranità e di infallibilità attribuiti al capo della Chiesa dal Concilio Vaticano I. Si è fatto presente il vero e proprio rovesciamenti di interesse accaduto dopo la repentina dimissione di Ratzinger: se il vecchio Benedetto XVI sottolineava l’importanza prioritaria della fedeltà alla Verità custodita autorevolmente dalla Chiesa cattolica, il suo successore fin dal dialogo con Eugenio Scalfari ha manifestato la sua simpatia per la relazione con l’altro, condizione previa a qualsiasi imposizione dogmatica. Se per il secondo c’erano i principi non negoziabili legati al concetto medievale di “natura”, per Francesco era evidentemente molto più importante non negoziare i temi legati alla pace, allo sfruttamento dei poveri e al rifiuto dell’accoglienza dei migranti. Se per Benedetto XVI, ispiratore della Dominus Jesus di Wojtyla, il cristianesimo ere l’unica via per un pieno rapporto con il divino, per Bergoglio ogni religione, a determinate condizioni, è una strada per arrivare a Dio. E così via, con mille altri possibili esempi. D’altra parte, anche se in misura minoritaria, c’erano anche i contestatori progressisti, da sinistra, che rimproveravano al papa l’incapacità o la mancanza di volontà nel trasformare le grandi intuizioni preannunciate attraverso le scelte personali in normativa di diritto canonico, in grado di rivoluzionare realmente e fino in fondo la Chiesa cattolica. Non si è arrivati ad affrontare e avviare una riflessione sul sacerdozio cattolico femminile, sulle tematiche legate al celibato obbligatorio per i ministri ordinati, neppure perfino alla liberalizzazione della comunione per i fedeli divorziati risposati. E non si possono passare sotto silenzio anche alcuni motivi concreti di imbarazzo e perplessità, in particolare – per citarne solo due – le ritrosie nel portare finalmente a piena luce le incredibili zone di buio del caso Emanuela Orlandi e le sostanziali ambiguità espresse di fronte all’imbarazzante caso Rupnik, addirittura con il mancato ascolto delle donne coinvolte negli abusi da esse denunciati. Comunque, dando uno sguardo positivo all’insieme di un pontificato che ha avuto senz’altro molte più luci che ombre, si potrebbe dire che la posizione di Francesco indicherebbe una strada radicalmente nuova, quella di un cristianesimo “federale”, di una considerazione egalitaria della relazione con le religioni e di un rispetto profondo e dialogante con le nuove istanze dell’ateismo moderno. Francesco avrebbe voluto arrivare fino a questo punto? O forse, si è limitato a suggerire sommessamente la via, lasciando le scelte ai suoi successori, rendendosi conto che una simile Riforma avrebbe richiesto lo smantellamento del Potere della cattolicità nel mondo attuale, la revisione dell’esistenza stessa della Città del Vaticano, la perdita di prestigio e privilegio in numerosi Paesi del mondo capitalista?

A parte il manipolo di poveri che hanno atteso la salma di Francesco a Santa Maria Maggiore, i funerali di piazza san Pietro e l’attesa frenetica del nuovo Conclave e dei suoi secolari rituali, sembrano per ora riportare l’orologio della Chiesa cattolica al momento delle scelte precedenti. La grande maggioranza di cardinali scelti da Bergoglio induce a immaginare un nuovo papa non troppo distante dai “desiderata” del “transitato”. Tuttavia la difficoltà starà nel decidere se appunto radicalizzare le posizioni di Francesco e creare le condizioni per una nuova Chiesa, finalmente, dopo più di 1700 anni post-costantiniana, con annesso possibile scisma dei tradizionalisti. Oppure cercare una soluzione di mediazione, attraverso una diplomazia in grado di ricostruire ponti e relazioni con chi in questi anni ha storto il naso, rischiando però l’intiepidimento e la delusione di coloro che in questi dieci e più anni, hanno comunque sentito il papa “vicino” alle ong sulle navi del Mediterraneo, ai migranti rinchiusi nei Centri per il Rimpatrio, agli obiettori di coscienza e al mondo ecologista. Ai tantissimi cioè che – in questi giorni di distacco – hanno detto quasi sempre le stesse parole: “io non sono credente e non mi sono mai interessati agli affari della Chiesa, ma rispetto come grande essere umano la figura e l’opera di papa Bergoglio”.

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