Per la Chiesa cattolica, il periodo della “vacanza” è quello
che intercorre fra la morte o dimissione di un vescovo di Roma e l’elezione del
successore. E’ un momento molto particolare, nel quale si rincorrono le voci e
impazza il totopapa. Difficile è esimersi dal commentare e dal provare qualche
tentativo di analisi, a livello più giornalistico che di approfondimento della
fede.
Una volta terminate le solenni esequie, si comincia anche ad
affrontare un’analisi meno immediatamente coinvolta delle azioni e delle parole
dello scomparso, anche per cogliere gli elementi essenziali dell’eredità
affidata a colui che ne prenderà il posto. L’entusiasmo quasi unanime che ha
accompagnato la morte e i funerali di Francesco è la cifra dalla quale partire
per comprendere meglio ciò che in quest’ultimo decennio è accaduto.
Dai media sono scaturiti fiumi di espressioni colme di
retorica, dal papa degli umili a quello degli ultimi, da quello della gioia a
quello della pace. Ma quanto ha inciso veramente il suo magistero, nel mondo e
nella Chiesa?
Sicuramente è stato più amato fuori dalle cerchie
ecclesiastiche che al loro interno. Aiutato da un sostegno mediatico “laico”
superiore a quello riservato a qualsiasi altro predecessore, ha sicuramente
potuto sottolineare con forza alcuni gangli vitali del mondo contemporaneo. Ha
parlato di pace e di trattativa come ineliminabile strumento per risolvere la
guerra in Ucraina, anche se dal punto di vista pratico i suoi sforzi – mediati dalle
infruttuose missioni del cardinale Zuppi – non hanno ottenuto nemmeno l’appoggio
dei cattolici ucraini. Ha denunciato con chiarezza il “crimine” e il “terrorismo”
degli attacchi israeliani contro la Striscia di Gaza, arrivando vicino a
pronunciare la parola “genocidio”. Non si è mai stancato di parlare a favore
dei migranti e all’obbligo dell’accoglienza e dell’assistenza, anche in questo
caso ottenendo giustamente grande simpatia da parte di chi fa salti mortali per
salvare le vite nel Mediterraneo e nei Balcani. Ma anche in questo caso non ha
ricevuto in cambio altro che imbarazzate ma quasi amichevoli pacche sulle spalle
da sindaci e governanti nazionali e internazionali, pronti a saltare sul suo
carro prima ancora della sepoltura. Si è pronunciato molto sulla necessità che
gli Stati garantiscano i fondamentali diritti alla vita, alla libertà e alla
giustizia sociale, proponendo un alto magistero, forse un po’ indebolito dal
suo essere, al pari dei suoi collocutori, un Capo di Stato. E di uno Stato
assai importante, crocevia di problematiche economiche, politiche e culturali
tutt’altro che trascendenti. Hanno destato molta attenzione le sue encicliche,
prime fra tutte la Laudato sii e Fratelli tutti, piene di forti raccomandazioni
riservate alla custodia del creato e alla fraternità e sororità universali.
Anche in questo caso, le sue proposte hanno suscitato molto più consenso che
dissenso, senza che per questo divenissero spunto di studio a livello
accademico internazionale, orientamento scientifico sul quale improntare le
scelte planetarie dei prossimi decenni e secoli. La reiterata denuncia dei produttori
e dei venditori di armi – convenzionali e di distruzione di massa - non è
arrivata fino al punto di chiedere la distruzione di tutti gli arsenali
esistenti e la riforma degli statuti delle Nazioni Unite. E forse per questo in
piazza san Pietro l’altro giorno c’erano molti rappresentanti di tante Nazioni,
iperintrallazzate proprio con gli interessi legati al commercio degli strumenti
di morte. Molto apprezzato è stato anche l’interesse attivo e costruttivo nei
confronti dei più deboli della terra, anche questo tuttavia accompagnato dalla
difficoltà di trasformare una Chiesa cattolica straricca, proprietaria di beni
mobili e immobili giganteschi, in quella che Francesco avrebbe voluto come “Chiesa
povera tra i poveri”. In sintesi, le parole programmatiche pronunciate sull’aereo,
al ritorno da uno dei tanti viaggi intercontinentali e riferite a tutt’altro
contesto, possono rilevare la forza e la debolezza di questo pontificato, dal
punto di vista della politica estera: “voglio una chiesa senza banca vaticana”?
Il che vuole dire affascinante e simpatetico nuovo modo di guardare a un mondo
post e ultramoderno in evidente difficoltà, ma anche potrebbe voler rilevare l’impotenza
nel voler affrontare e superare le dinamiche più complesse.
E qui si entra nel secondo capitolo, quello relativo alla
partecipazione interna alla vita della Chiesa cattolica. Anche se ora quasi tutti
osannanti, molti sono coloro che negli ultimi anni hanno espresso dubbi sulla
conduzione “ecclesiastica” di papa Francesco. C’è stata un crescente critica
tradizionalista, da destra, relativa più agli atteggiamenti che alle
deliberazioni della santa sede. Si è rilevato come la semplicità estrema dei
gesti simbolici papali – dalla famosa valigetta portata in aereo senza portaborse
alle utilitarie (pur scortate da cortei di auto blu) – abbia messo in pericolo il
concetto di sovranità e di infallibilità attribuiti al capo della Chiesa dal Concilio
Vaticano I. Si è fatto presente il vero e proprio rovesciamenti di interesse
accaduto dopo la repentina dimissione di Ratzinger: se il vecchio Benedetto XVI
sottolineava l’importanza prioritaria della fedeltà alla Verità custodita autorevolmente
dalla Chiesa cattolica, il suo successore fin dal dialogo con Eugenio Scalfari
ha manifestato la sua simpatia per la relazione con l’altro, condizione previa
a qualsiasi imposizione dogmatica. Se per il secondo c’erano i principi non
negoziabili legati al concetto medievale di “natura”, per Francesco era
evidentemente molto più importante non negoziare i temi legati alla pace, allo
sfruttamento dei poveri e al rifiuto dell’accoglienza dei migranti. Se per Benedetto
XVI, ispiratore della Dominus Jesus di Wojtyla, il cristianesimo ere l’unica via
per un pieno rapporto con il divino, per Bergoglio ogni religione, a
determinate condizioni, è una strada per arrivare a Dio. E così via, con mille
altri possibili esempi. D’altra parte, anche se in misura minoritaria, c’erano
anche i contestatori progressisti, da sinistra, che rimproveravano al papa l’incapacità
o la mancanza di volontà nel trasformare le grandi intuizioni preannunciate
attraverso le scelte personali in normativa di diritto canonico, in grado di
rivoluzionare realmente e fino in fondo la Chiesa cattolica. Non si è arrivati ad
affrontare e avviare una riflessione sul sacerdozio cattolico femminile, sulle
tematiche legate al celibato obbligatorio per i ministri ordinati, neppure
perfino alla liberalizzazione della comunione per i fedeli divorziati
risposati. E non si possono passare sotto silenzio anche alcuni motivi concreti
di imbarazzo e perplessità, in particolare – per citarne solo due – le ritrosie
nel portare finalmente a piena luce le incredibili zone di buio del caso
Emanuela Orlandi e le sostanziali ambiguità espresse di fronte all’imbarazzante
caso Rupnik, addirittura con il mancato ascolto delle donne coinvolte negli
abusi da esse denunciati. Comunque, dando uno sguardo positivo all’insieme di
un pontificato che ha avuto senz’altro molte più luci che ombre, si potrebbe
dire che la posizione di Francesco indicherebbe una strada radicalmente nuova,
quella di un cristianesimo “federale”, di una considerazione egalitaria della
relazione con le religioni e di un rispetto profondo e dialogante con le nuove
istanze dell’ateismo moderno. Francesco avrebbe voluto arrivare fino a questo
punto? O forse, si è limitato a suggerire sommessamente la via, lasciando le
scelte ai suoi successori, rendendosi conto che una simile Riforma avrebbe
richiesto lo smantellamento del Potere della cattolicità nel mondo attuale, la
revisione dell’esistenza stessa della Città del Vaticano, la perdita di
prestigio e privilegio in numerosi Paesi del mondo capitalista?
A parte il manipolo di poveri che hanno atteso la salma di Francesco a Santa Maria Maggiore, i funerali di piazza san Pietro e l’attesa frenetica del nuovo Conclave e dei suoi secolari rituali, sembrano per ora riportare l’orologio della Chiesa cattolica al momento delle scelte precedenti. La grande maggioranza di cardinali scelti da Bergoglio induce a immaginare un nuovo papa non troppo distante dai “desiderata” del “transitato”. Tuttavia la difficoltà starà nel decidere se appunto radicalizzare le posizioni di Francesco e creare le condizioni per una nuova Chiesa, finalmente, dopo più di 1700 anni post-costantiniana, con annesso possibile scisma dei tradizionalisti. Oppure cercare una soluzione di mediazione, attraverso una diplomazia in grado di ricostruire ponti e relazioni con chi in questi anni ha storto il naso, rischiando però l’intiepidimento e la delusione di coloro che in questi dieci e più anni, hanno comunque sentito il papa “vicino” alle ong sulle navi del Mediterraneo, ai migranti rinchiusi nei Centri per il Rimpatrio, agli obiettori di coscienza e al mondo ecologista. Ai tantissimi cioè che – in questi giorni di distacco – hanno detto quasi sempre le stesse parole: “io non sono credente e non mi sono mai interessati agli affari della Chiesa, ma rispetto come grande essere umano la figura e l’opera di papa Bergoglio”.
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