lunedì 12 febbraio 2024

Il "ricordo", fra ragione e sentimento

Ricordo delle torture degli antifascisti, carceri di Gorizia 
In questi giorni si è parlato molto di memorie e di ricordi. E se, come qualcuno dice, questi fossero ancora vissuti come momenti nei quali si  rende di nuovo vivo e presente ciò che è accaduto, sarebbe onesto riconoscere l'impossibilità di una "memoria condivisa". Anzi, la memoria non potrebbe altro che essere sempre "divisiva", in quanto le emozioni e i sentimenti delle persone coinvolte determinerebbero - come di fatto accade - l'inevitabile unilateralità dei punti di vista.

Non c'è da farsi illusioni, le "giornate" non potranno fare altro che rinfocolare le polemiche, almeno fino a quando coinvolgeranno la sfera emotiva di chi le celebrerà. C'è anche da dire che, nel momento in cui ciò non accadesse più, esse si trasformerebbero in riti formali, incapaci di mobilitare la testa e il cuore. E' un po' il caso della "Memoria" del 27 gennaio, ridotta a un'ossessiva ripetizione di un "mai più" al quale - guardando come va il mondo - ci si crede sempre meno. 

Come fare allora per rivalutare il senso di un'autentica ricerca storica che possa consentire la ricostruzione dell'intero contesto del XX secolo, all'interno del quale si sono svolti gli avvenimenti dei quali ci si vuole ricordare o fare memoria?

Il primo passo è assumere il metodo storico che necessariamente, se correttamente applicato, è per definizione svincolato dal coinvolgimento emotivo. Da una corretta e approfondita analisi dovrebbero emergere dati rigorosamente documentati e sguardi d'insieme in grado di evitare l'isolamento di alcuni particolari a danno del contesto complessivo. Per esempio, non si può studiare la prima guerra mondiale senza approfondire le conseguenze dei Trattati di Pace. Ricostruendo il ventennio del fascismo, non ci si può dimenticare delle persecuzioni e vessazioni subite dal popolo sloveno. E ponendo la lente sulla seconda guerra mondiale, è necessario ribadire le colpe oggettive di chi questo terribile conflitto lo ha voluto e sostenuto, cioè Hitler e il nazismo tedesco con Mussolini e il fascismo italiano. Quando si parla di foibe, occorre ricordare tutte le vittime di guerra - di tutte le parti coinvolte nel conflitto, a triste dimostrazione dell'inesistenza di una caratterizzazione etnica - che tra il 1943 e il 1945 hanno avuto la sventura di trovare in esse la loro tomba. Come poi non collegare agli eventi del maggio 1945 - non certo come giustificazione individuale, ma come spiegazione e giudizio storico - le "imprese" della Decima Mas durante l'occupazione nazi-fascista della Slovenia, i processi sommari, le fucilazioni, i paesi bruciati e la deportazione di donne e bambini sloveni nei campi di concentramento controllati dagli italiani? E pensando alla scelta di andarsene di migliaia di esuli "optanti" dopo gli Accordi di Parigi del 10 febbraio 1947, è inevitabile porsi anche dalla parte degli interlocutori che in quello stesso giorno potrebbero festeggiare la definitiva liberazione ufficiale della loro terra slovena, ingiustamente occupata dagli italiani sulla base del Trattato di Rapallo del 1920. 

Questa analisi, in termini sintetici ma coinvolgenti, è già stata avviata, con il documento pubblicato nell'anno 2000 dalla Commissione Mista di storici sloveni e italiani, costituita a livello delle due Nazioni nel 1993, più di 30 anni fa. Molte serie ricerche storiografiche, radicate in quel fondamentale testo, hanno permesso successivamente di scoprire nuovi elementi e di evidenziare la fondatezza o meno di precedenti ricostruzioni, riguardanti i luoghi, i tempi, i numeri relativi alla reale consistenza dei fenomeni legati all'immediato dopoguerra. 

La celebrazione della "Capitale europea della Cultura" può essere l'occasione per superare l'inevitabile scontro emotivo che caratterizza ogni passaggio del 10 febbraio? 

Lo può essere eccome, se si fugge da due tentazioni, entrambe venefiche. La prima è quella di evitare di affrontare l'argomento, proprio perché si sa in partenza quanto sia "divisivo": parliamo solo di ciò che ci unisce, lasciamo perdere ciò che ci divide. Invece l'appuntamento del 2025 è proprio quello giusto per rispolverare il Documento del 2000 - purtroppo sostanzialmente dimenticato come punto di partenza - e sulla sua base riprendere un dialogo intenso, attraverso conferenze di storici documentati, presentazione e pubblicazione di dati e di solide ricerche, approfondimento di fatti e di antefatti.

La seconda è quella, apparentemente innocua ma in realtà pericolosa, di equiparare tutto, in nome di un malinteso umanitarismo. Ciò si è verificato nel passato attraverso la dolce espressione della "riconciliazione delle memorie". Si è inteso con ciò affermare la dignità di ogni essere umano, il giusto pensiero di pietà per ogni caduto, il rispetto profondo per il dolore di ogni familiare che piange i propri morti, senza avere spesso neppure una tomba sulla quale versare le lacrime. Ma non andando oltre al livello emotivo riguardante i casi individuali, si è rischiato di cancellare il giudizio storico, equiparando le vittime e i carnefici, i liberatori e gli oppressori, quelli che hanno combattuto dalla parte giusta e quelli dall'ingiusta. 

Oppure - è il caso di questi giorni - si assiste a un processo di deresponsabilizzazione che in nome degli attuali buoni rapporti tra gli Stati confinanti, paradossalmente riconosce come colpevoli degli eventi connessi alla guerra nazi-fascista coloro che hanno contribuito in modo decisivo a portare alla conclusione tale conflitto e a cancellare dalla storia quelle dittature. Secondo questa vulgata, il fascismo e il nazismo - causa principale della guerra con tutte le sue conseguenza - sono assolti da ogni responsabilità relativa alle foibe, in quanto eventi accaduti nei giorni successivi la fine del conflitto. Le attuali Nazioni confinanti sono assolte in quanto non presenti all'epoca dei fatti. Gli unici colpevoli sarebbero quindi i "titini comunisti" (così sono stati chiamati anche ieri a Basovizza), animati da un incomprensibile e improvviso odio nei confronti di chi aveva collaborato con i sanguinosi regimi precedenti. E' fin troppo evidente quanto questa concezione sia un classico esempio di uso (distorto) politico della storia, in un momento di rinascenti nostalgie revisioniste.

La storia non si fa così, ma come ogni altra scienza, con dati e interpretazioni suffragate da documenti. Si lascino alla "memoria divisiva" le Giornate del Ricordo e si rispetti lo spazio individuale delle emozioni e dei ricordi dolorosi. Ma si affronti invece con serietà e metodo la Storia con la S maiuscola alla mano, un percorso collettivo di ricerca della verità per quanto possibile oggettiva, di approfondimento dell'intero contesto e di fondamento per un'autentica civile e costruttiva convivenza. Non con la costrizione del silenzio, ma con la parola frutto di uno studio intenso, il passato può divenire un tesoro di conoscenza dal quale attingere le risorse per costruire insieme un miglior presente e una prospettiva futura.

1 commento:

  1. Dal governo e' stata spedita e apposta su una parete del Liceo Classico una targa in funzione " anticomunista" . Ne farai oggetto di denuncia e di protesta?

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