venerdì 2 febbraio 2024

Francesco ovvero la fine del cattolicesimo imperiale

La postmodernità sta inghiottendo uno delle più antiche polis del Pianeta. Il secolo XX proietta le sue ultime ombre. Dopo aver contribuito alla demolizione di gloriosi imperi, alla nascita e al tracollo delle più sanguinose dittature della storia, alla fine del sogno di una koinè ispirata dal comunismo, con un minimo ritardo prepara l'evaporazione del cattolicesimo.

Così strettamente legata all'evoluzione del capitalismo, la postmodernità sta svolgendo il ruolo delle macchine di distruzione che devono abbattere le case lesionate. Poi qualcuno toglierà le macerie ed edificherà un nuovo edificio, sempre che la fase di demolizione non sia tanto intensa da rendere impossibile la ricostruzione.

Jorge Bergoglio, contestatissimo Vescovo di Roma, con i suoi 87 anni, è in questo momento la persona più giovane del Pianeta. Ciò che sta compiendo, con un sempre meno marcato sorriso sulle labbra, è lo smantellamento delle colonne portanti che hanno consentito all'impero cattolico di sopravvivere per ben 1630 anni. Sì, tra il 5 e il 6 settembre 394, l'imperatore Teodosio sulle sponde del Frigidus (l'odierno Vipacco), sconfigge quello che i vincitori hanno definito l'"usurpatore" Eugenio, riunifica l'Impero Romano e applica all'intero enorme territorio l'editto di Tessalonica. Costantino e Licinio, nel 313, avevano proclamato l'editto di Milano, con il quale stabilivano - un po' come l'articolo 19 della  Costituzione Italiana - la libertà di espressione di ogni culto religioso. Teodosio e company, con l'Editto di Tessalonica, riferendosi alla fede cristiana, nella sua versione definita (sempre dai vincitori) ortodossa, stabiliscono che Chi segue questa norma sarà chiamato cristiano cattolico, gli altri invece saranno considerati stolti eretici; alle loro riunioni non attribuiremo il nome di chiesa. Costoro saranno condannati anzitutto dal castigo divino, poi dalla nostra autorità, che ci viene dal Giudice Celeste. In pochi anni, da perseguitati i cristiani diventano perseguitanti e si avvia il processo di identificazione tra Chiesa e Impero che - in forme diverse - attraverserà tutto il Medioevo e resisterà strenuamente al sistematico attacco del pensiero moderno. Come ogni impero che si rispetti, anche quello cristiano aveva nella sua essenza la pretesa di essere eterno e universale, giustificando in questo modo qualsiasi aberrante forma di proselitismo e di conquista, postulando che fosse meglio morire piuttosto che disobbedire agli ordini del sovrano (nell'ordine, il Papa e l'Imperatore che si ritenevano diretta espressione della volontà di Dio). E come ogni impero che si rispetti, l'inevitabile percezione del fallimento del disegno egemonico a causa dell'intrinseca diversità degli umani e della limitatezza temporale di ogni loro impresa, ha portato a una lenta trasformazione che, passo dopo passo, ha raggiunto appena in questi anni la consapevolezza. Quello che si sta vivendo è il tramonto della Cattolicità, Papa Francesco si è assunto - consapevolmente o meno - il compito di avviare una notte dalla quale potrà forse finalmente sorgere un nuovo giorno.

Questo passaggio, già intravvisto nel complesso dettato del Concilio Vaticano II (1962-1965), ma sotto la forma di compromesso tra partiti sostenitori di tesi opposte, ha alcuni punti di riconoscimento molto importanti. Per avviare soltanto il discorso, se ne possono citare come esempio tre. 

Francesco - o Bergoglio comunque lo si voglia chiamare - propone il primato della verità relativa su quella assoluta. In termini semplici, afferma come venga prima il riconoscimento fraterno della persona nella sua concreta situazione esistenziale e sociale, rispetto all'affermazione di principi assoluti ai quali occorrerebbe conformarsi per realizzare la propria vita.

Francesco propone una visione della guida della Chiesa "secolarizzata". La percezione del Papa "uno fra i pari" (e i pari sono ogni essere umano, in particolare chi vive con maggior sofferenza lo stritolamento provocato dal capitalismo) e la famosa affermazione del "chi sono io per giudicare?", da una parte demoliscono il dogma (comunque sorprendente, data la difficoltà di sostenere una cosa simile!) del Vaticano I, secondo il quale "il Romano Pontefice", a determinate condizioni, non può sbagliarsi nel proporre la Verità della Rivelazione. Dall'altra parte afferma, in chiave essenzialmente postmoderna e personalista, che il supremo criterio per stabilire il bene e il male, non appartiene a un'autorità esterna, ma all'intimo della propria coscienza.

Francesco propone di fatto di equiparare i percorsi di fede e di ricerca del senso del trascendente, rilanciando il dialogo ecumenico e interreligioso non solo sul piano di una cordiale convivenza, ma di un reciproco riconoscimento della fantasia di un appello a Dio non monocratico, ma essenzialmente pluralista e multiforme. In questa prospettiva, la parola proselitismo perde ogni significato e viene sostituita dal "dialogo", metodo per eccellenza di costruzione della vagheggiata comunione nella valorizzazione di ciascuna diversità.

A leggerle con attenzione, le parole e le forme proposte da Bergoglio altro non sono che l'espressione di un profondo buon senso  e, forse, dell'intelligente percezione di un'inattesa possibilità di mantenere vivo l'annuncio fondante del Maestro. Portano a termine un lungo processo, iniziato nella Vipavska dolina, a pochi chilometri da Gorizia, alla fine dell'estate del 394. E' la fine del cattolicesimo imperiale o dell'impero cattolico, non certo del cristianesimo in quanto tale. Francesco riporta la Chiesa alle origini, realizza in un certo modo il sogno di Lutero o la "forma" realizzata da Francesco di Assisi: l'imitazione di Cristo attraverso il solo Vangelo, affidato all'interpretazione soggettiva e non alla mediazione dell'autorità ecclesiastica.

E' la speranza di ricominciare da capo, dalla misera grotta di Betlemme o dal dramma salvifico del Calvario. Sembra quasi di sentir dire "abbiamo capito male, ripartiamo dalle fondamenta". La strada è quella della contemplazione che non incide sull'azione, della fede radicalmente distinta dalla ragione, della città di Dio del tutto incompatibile con quella dell'uomo, della fine di ogni collateralismo in nome della purificazione dell'autenticità della fede, della libertà scevra da ogni commistione col Potere.

E' facile immaginare le conseguenze si questa visione "de-istituzionalizzante". I tempi attuali sembrano essere caratterizzati dalla rapidità del loro svolgersi. E' quindi presumibile che sulla scia delle intuizioni "francescane", verrà meno la necessità di un apparato strutturale mastodontico: la Città del Vaticano, gli immensi possedimenti, i nunzi apostolici, le banche, le assicurazioni, gli intrallazzi, il maschilismo, il sacerdozio sacrale... Tutto ciò, se si prolungheranno i fili tessuti in questo pontificato, sparirà dalla storia e la voce della Chiesa tornerà a essere totalmente svincolata da ogni interesse politico o economico, a interpellare l'anima e l'animo delle persone, a offrire loro la vera ed essenziale parola innovativa, proposta dall'esperienza esistenziale del Cristo: la vittoria dell'amore sull'odio, del perdono sulla vendetta e - massima aspirazione di ogni essere - della morte sulla vita. Ma per ora, de hoc satis. 

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