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Ultima cena siriaca, particolare (coll. personale) |
Il gesto della condivisione del pane e del vino, prima della più tarda sacralizzazione, richiama il dono della propria vita "per tutti", come realizzazione della "salvezza" per ogni uomo.
A Pietro e agli apostoli che lo vorrebbero difendere nel Getzemani, il Maestro, curando il soldato colpito, ricorda che "chi di spada ferisce, di spada perisce".
Davanti a Pilato e a Caifa, si rifiuta di reagire alle loro provocazioni, richiama all'intelligenza e all'umanità chi lo percuote, domandandogli: "se ho fatto del male, dimostramelo, se no, perché mi percuoti?"
Nel cammino verso il Golgothà sorride nella sofferenza alla Madre, alla Maddalena e alle altre donne che lo accompagnano, allargando il suo dolore a una dimensione universale.
Sulla croce non invoca l'intervento degli eserciti celesti per sterminare i suoi persecutori, ma pronuncia soltanto parole di perdono: "Perdona loro perché non sanno quello che fanno".
Prolunga la logica delle sue profetiche parole: porgi l'altra guancia, chi vuol salvare la propria vita la perderà, chi la perderà la salverà, solo se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto.
Quanti venerdì santi personali si verificano in questo giorno dell'Anno Domini 2025.
Quelli che arrivano nelle loro case attraverso parole e immagini ci conducono nella stessa terra di Gesù. Un governo criminale stermina donne e bambini nella Striscia di Gaza, giustificando un vero e proprio genocidio come spropositata reazione ai terribili attentati che hanno strappato la vita a qualche migliaio di giovani inermi.
In Ucraina le bombe russe cadono su ospedali e scuole, altri crocifissi insieme ai soldati russi e ucraini mandati al macello dai rispettivi capi politici, sotto lo sguardo quasi compiaciuto degli Stati Uniti e dell'Unione europea.
In altre parti del mondo i crocifissi sono altrettanti e anche di più, senza neppure l'"onore" di balzare alle cronache internazionali "coperte" da un sistema di comunicazione totalmente miope.
Riecheggiando il titolo del famoso testo di Lenin, ci si chiede "Che fare?"
La prima risposta è quella di imparare dal racconto dei Sinottici e di Giovanni: seguire l'esempio di Gesù, riproposto quasi duemila anni dopo da Gandhi: lasciarsi ferire guardando in volto con misericordia l'offensore piuttosto che colpirlo, morire piuttosto che uccidere, come gli eroi disertori della prima guerra mondiale che si rifiutavano di uscire dalla trincea perché non volevano ammazzare giovani "con il loro stesso identico umore ma con la divisa di un altro colore". La nonviolenza attiva come metodo di affronto delle relazioni internazionali e interpersonali in molte situazioni si è dimostrata più efficace di qualsiasi uso delle armi nei conflitti.
Ma questa risposta non è sufficiente. A livello personale, là dove si decide di pagare di persona la propria scelta, quella della nonviolenza attiva è la più importante e rivoluzionaria delle risposte possibili. Ma quando ci si trova davanti al sistematico uso della forza bruta nei confronti degli altri? Se vedo una persona che colpisce un innocente davanti ai miei occhi, cosa devo fare? Restarmene passivo e non fare nulla per impedirlo non è un atteggiamento accettabile e umano. E se un intero popolo soffre sotto la pressione ingiusta delle scelte politiche di un dittatore del proprio o di un altro popolo, è ancora giusta la scelta della nonviolenza?
E' una domanda drammatica. Se la sono posta persone di pace come Dietrich Bonhoeffer, che dopo profonda riflessione interiore ha deciso di partecipare all'organizzazione dell'attentato a Hitler. Se la sono posta gli sloveni membri del Tigr, fucilati a Basovizza nel 1930 perché avevano tentato di contestare il disegno di cancellare dalla storia la cultura, la lingua e la storia del popolo sloveno. Se la sono posta tanti partigiani che hanno contribuito a rovesciare il fascismo e il nazismo nel corso della seconda guerra mondiale. E sicuramente se la pongono tanti che vedono i propri cari minacciati dalla forza oscura dei neonazismi e dei neofascismi del nostro tempo. E' sufficiente testimoniare con la propria decisione di essere uccisi piuttosto che uccidere? O in alcuni casi, con grande dolore, è necessario imbracciare il fucile? Ma, se accettiamo questa "triste e tragica necessità", fino a dove possiamo arrivare? Qual è il limite, il confine tra il livello della responsabilità individuale e quello dell'intervento sulla situazione complessiva.
Tutti questi interrogativi dipendono dal fatto che il Novecento non ha di fatto prodotto alcuna soluzione definitiva al problema, la cui unica soluzione possibile sta nell'evitare che si creino le situazioni di conflitto. Facile a dirsi... Ma lo avevano già detto in parte il presidente statunitense Wilson e papa Benedetto XV nel 1917: soppressione di tutti gli arsenali militari, costituzione di un'autentica Società delle Nazioni alla quale i singoli Stati avrebbero dovuto conferire la responsabilità della politica estera e della difesa del Pianeta, la realizzazione degli Stati Uniti del Mondo. Era ed è un'utopia, intesa come "eu-topia", cioè bel luogo e non come realtà impossibile da realizzare. Sono passati più di cento anni e non si è fatto quasi nulla per camminare in questa direzione.
Ed è per questo che anche nel Venerdì santo 2025 ci si trova costretti ancora a distinguere tra il nobile esempio personale, profondamente umano di Gesù sulla croce e la drammatica necessità di tutelare intere popolazioni inermi, minacciate nel loro stesso elementare diritto alla Vita e alla Pace.