domenica 6 luglio 2025

La Messa è finita...

 

Quando una persona decide volontariamente di farla finita con la vita, si provano diverse sensazioni: si vorrebbe capire, si è coinvolti in pesanti (e quasi sempre vani) sensi di colpa, si lascia spazio alla compassione, si invita alla contemplazione del mistero, ci si propone il silenzio, ci si impegna nella parola, perché il grido di quell'ultimo gesto non resti inascoltato.

Il suicidio del giovane prete di Bergamo non poteva passare inosservato e molti hanno voluto ricordarlo, normalmente con molto rispetto e con il desiderio di comprendere. Il presbitero è un personaggio che vive un'esistenza in pubblico e qualsiasi suo gesto che trascenda il tran tran quotidiano, non può che diventare oggetto di approfondimento e di riflessione, al di là della conoscenza o meno del soggetto del quale si parla. A lui quindi, che non ho conosciuto se non dalle fotografie, un pensiero affettuoso, fraterno e pieno di profonda pietas. Le parole che seguono non hanno a che fare direttamente con l'evento, nessuno potrà mai spiegare il come e il perché possa venir meno in un essere umano l'elementare istinto di sopravvivenza. 

Quella della guida della cattolicità è questione complessa, radicata da una parte nelle parole e nelle azioni delle prime comunità cristiane, dall'altra nella sistemazione organizzativa derivata dalla sostanziale identificazione tra il potere politico imperiale e quello essenzialmente religioso, verificatasi nella sua essenza nel corso del IV secolo. Si procede da un fondamentale passaggio, il fatto che nei testi fondanti non si parla di sacerdozio, se non nella rielaborazione teologica della lettera agli Ebrei che identifica nel Cristo l'unica possibile realizzazione del "dono del sacro" (etimologia di sacer dos). L'organizzazione della prima Chiesa sembra rifuggire dal termine, utilizzando maggiormente i sostantivi presbitero (l'anziano, il saggio coordinatore della comunità), diacono (servitore delle mense, protagonista dell'esperienza della condivisione fraterna), episcopo (il sorvegliante, punto di riferimento e di unità fra le diverse realtà sparse nelle città affacciate al bacino mediterraneo). Sarà l'epoca postcostantiniana e soprattutto quella post teodosiana (fine IV secolo) a recuperare la distinzione tra sacro e profano, a sacralizzare il ruolo del sacerdote e del pontefice (vescovo che costruisce ponti tra divino e umano), sulla scia dell'investitura divina riconosciuta al ruolo dell'Imperatore.

Nel tempo questa distinzione si è sempre più intensificata, tanto più nella conferma "quasi dogmatica" di un sacerdozio cattolico riservato esclusivamente a maschi e dell'imposizione del celibato obbligatorio ai candidati al ministero presbiterale.

Questa visione ha creato un'oggettiva separazione tra il clero (la parola stessa significa di per sé "separazione") e la comunità dei fedeli, definiti "laici" e di fatto esclusi dai processi decisionali della Chiesa. Ha funzionato nell'epoca della cristianità, ma ha cominciato a essere messa in discussione con l'avvento della modernità. Tra la Rivoluzione Francese e il Concilio Vaticano II c'è stato un tempo di forte contrasto: da una parte le nuove filosofie, la mondializzazione, la conoscenza e diffusione di nuove forme religiose, gli stessi contrasti intracristiani hanno invitato a una revisione completa dell'idea di leadership; dall'altra le cose sono andate avanti sostanzialmente senza alcun rilevante cambiamento, fino a oggi. Il Vaticano II, da questo punto di vista, ha affrontato alcune tematiche inerenti, ma non ha indicato linee di cambiamento o adeguamento ai tempi nuovi particolarmente significative.

E così il giovane che desidera diventare prete, sinceramente innamorato della figura di Gesù di Nazareth e in principio convinto di trovare la realizzazione del Vangelo nella Chiesa cattolica, si trova incanalato in una miscela micidiale di svariate identità: per una parte cospicua si dovrebbe riconfermare il sacerdos della tradizione medievale, per un'altra parte al contrario ci si dovrebbe immergere fino al collo nella postmodernità, secondo alcuni deve mantenere il potere non soltanto spirituale, secondo altri deve diventare un democratico presidente di piccolo gruppo, possibilmente scelto attraverso democratica elezione. Si prepara a inserirsi nei gangli vitali della società, immaginando un eroismo fatto di coraggiose prese di posizione portate avanti a rischio della propria vita, di un'identificazione con l'esperienza storica e teologica di Gesù, della passione di comunicare la sua bellezza a tutti... E si ritrova invece immerso in un noiosissimo martirio quotidiano fatto di ininterrotte celebrazioni molto più "sociali" che "religiose", di conti da far tornare per mantenere in piedi almeno le strutture fisiche, di baciapile interessati a tenere il prete più lontano possibile dai problemi reali delle persone. Il tutto al prezzo di una vita segnata da una rinuncia esplicita al più elementare e coinvolgente sentimento umano che solo per pochi eletti si trasforma in sperimentazione attiva e passiva dell'amore universale.

La sofferenza dei preti, soprattutto dei più sensibili, deve essere presa in considerazione. La Chiesa cattolica non può chiudere gli occhi e una ridefinizione dell'identità e del ruolo del presbiterato deve essere urgentemente presa in considerazione. Il tempo della Cristianitas non è finito solo nei dibattiti filosofici, ma anche nella vita ordinaria della gente. Il mondo del III millennio, con tutte le sue problematiche dolorose, drammatiche o affascinanti, è radicalmente diverso da quello medievale. Occorre una nuova riflessione che non può prescindere dal superamento del patriarcato attraverso il riconoscimento del presbiterato femminile, dalla definizione di un celibato volontario e non più obbligatorio, da un nuovo coinvolgimento dell'intera comunità nelle problematiche relative alla sua gestione, da una vera e propria laicizzazione del prete, non più costretto dai fatti a essere funzionario del sacro, ma essere umano (donna o uomo che sia) fra altri esseri umani, insieme in ascolto della Parola del Maestro, insieme attenti a tradurla in parole e opere di pace, di condivisione e di solidarietà universali.

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