martedì 11 maggio 2021

Gaza e il Tigray, sofferenze dimenticate...

Mentre quasi da un anno e mezzo, sollecitata da una vera e propria inondazione mediatica, la gente del Nord del Mondo si preoccupa del covid-19, altrove le notizie sulla pandemia sono soffocate da altre gravi sofferenze. Mentre tuttavia il virus è un nemico strano, al punto che non si sa neppure se classificarlo tra gli esseri viventi, la guerra è generata dalle umane responsabilità, dal libero arbitrio, dalla volontà di scegliere il bene o il male.

Forse per questo le notizie di questi ultimi giorni da Gerusalemme e Gaza sembrano coglierci di sorpresa, come se la situazione di sistematica oppressione del popolo palestinese da parte non degli ebrei, ma dal governo di Israele, peraltro da essi scelto, fosse una questione recente. Nuova è soltanto l'ennesima scintilla, lo scontro tra i legittimi abitanti delle case di Gerusalemme est e i coloni che vogliono espropriarle. Da una questione giuridica, da affrontare con al forza dell'intelligenza e l'arte della parola, si passa alla violenza sistematica, con un abnorme dislivello delle forze in campo, la potenza militare di Israele che a ogni intervento semina devastazione e morte da una parte, la debole e pur sempre violenta reazione degli antiquati missili palestinesi dall'altra. E' incredibile come la comunità internazionale - in particolare le grandi potenze includendo fra esse l'Unione Europea - non siano in grado di garantire una situazione di stabile pace, radicata nella giustizia e nel rispetto dei più elementari diritti della persona. Occorre tenere desta l'attenzione su ciò che sta accadendo. Occorre fermare subito la spirale di odio, prima che esploda una nuova intifada, l'innalzamento del livello della tensione non gioverebbe a nessun altro che non sia un potente signore della guerra o un sostenitore della micidiale arma dei poveri che è il terrorismo.

E forse per questo si parla ben poco di un'altra guerra che si sta combattendo nella regione del Tigray, la parte più a Nord dell'attuale Etiopia. Ciò che vi sta accadendo è sconvolgente, da sei mesi a questa parte sono in atto feroci combattimenti tra le forze autonomiste e quelle governative del primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali (premio Nobel per la pace 2019!!!). Le notizie giungono in modo frammentario e poche sono le agenzie di stampa che si preoccupano di raggiungere - peraltro con grande difficoltà - le zone più calde. Si possono ottenere informazioni dai racconti degli operatori umanitari che cercano di penetrare nel territorio e dagli scritti di coraggiosi blogger "occidentali", come per esempio l'ottimo Davide Tommasin, uno che "dona voce a chi non ha voce". Si parla di decine di migliaia di morti, soprattutto fra civili inermi vittime di un vero e proprio genocidio, come pure di quasi due milioni di profughi dalla tormentata regione ai confini con l'Eritrea. Sì, "due milioni" di profughi. E' un numero spaventoso, in un territorio già di per sé provato dalla povertà, se si pensa che qualche centinaia di migliaia di rifugiati è in grado di mettere in crisi il sistema politico ed economico della ricchissima Europa! E' indispensabile togliere la cortina di silenzio che impedisce di vedere ciò che sta accadendo in questa e in altre zone dell'Africa, superare la tragica constatazione relativa al valore "mediatico" della vita umana, vilipesa e dimenticata in queste terre, così vicine e così lontane.

E ora ritorniamo pure a occuparci del coronavirus, ma consapevoli di come non sia l'unico problema planetario... 

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